domenica 30 gennaio 2011

CENSURE-RAI, IGNORE-RAI, NON CAPI-RAI, CHI VOTE-RAI?

Riflessione sul ruolo della televisione e della RAI in Italia

DALL’ITALIA – Chi segue questo blog avrà capito che, da parte nostra, non c’è grande stima del mondo dell’informazione in Italia: e d’altronde lo dicono anche le classifiche di Reporters Sans Frontieres per la libertà di stampa, che collocano il nostro paese al 49esimo posto, a pari punti con il Burkina Faso, dietro Taiwan (48°), Papua Nuova Guinea (42°), Corea del Sud (40°) e Tanzania (40°). Quanto accaduto questa settimana, poi, offre lo spunto per capire sino a che punto siamo arrivati.
La telefonata di Silvio Berlusconi in diretta tv a L’infedele, il programma su La7 di Gad Lerner, ha aperto la settimana con una caterva di insulti sul giornalista, reo di aver condotto una trasmissione che trattava del caso Ruby, evidentemente sgradita al premier. Mi hanno invitato a guardare L’Infedele ma ho assistito ad una trasmissione disgustosa, con una conduzione spregevole, turpe e ripugnante.” Poi il premier giustifica le offese al programma “Avete offeso al di là del possibile la signora Nicole Minetti che è una splendida persona, intelligente, preparata, seria” [1]; d’altronde Nicole Minetti, consigliera regionale lombarda, indagata a Milano con Berlusconi, Fede e Mora, non sembrava contraccambiare la stima per il premier; in un’intercettazione del gennaio 2010, parlando con la sua assistente, dichiara “Non me ne fotte un cazzo se lui è il presidente del Consiglio o, cioè, è un vecchio e basta. A me non me ne frega niente, non mi faccio prendere per il culo. Si sta comportando da pezzo di merda pur di salvare il suo culo flaccido".  [2] L’episodio è molto grave; la realtà è che siamo abituati ormai agli interventi di Berlusconi, in diretta e non, contro questo o quel programma e non siamo più in grado di distinguere un giudizio su una trasmissione televisiva da parte di un telespettatore da una pubblica offesa ad un giornalista fatta da una carica dello Stato, un uomo delle istituzioni, un uomo di potere. Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno dal fatto che di fronte a Berlusconi ci fosse un giornalista esperto come Gad Lerner, in grado di replicare “Lei ha già insultato abbastanza. Perché non va dai giudici invece di insultare?”. Se ci fosse stato un giornalista giovane, alle sue prime esperienze televisive, certamente la telefonata del premier avrebbe avuto un altro impatto sulla sua futura carriera. O forse, il nostro ipotetico giornalista, proprio sapendo in anticipo che la trasmissione avrebbe potuto infastidire il premier, avrebbe rinunciato a dare un certo taglio alla trasmissione. La limitazione della libertà di stampa e di espressione passa anche attraverso questi gesti intimidatori: o dobbiamo aspettarci un sovrano assoluto che emani un editto (bulgaro?) che allontani al confino i giornalisti scomodi.
Poi Giovedì, arriva la telefonata del direttore generale della Rai, Mauro Masi, in diretta, alla trasmissione Annozero, condotta su RaiDue da Michele Santoro. Appena dopo l’anteprima (3 minuti di trasmissione) Masi interviene: “A tutela dell’azienda di cui sono direttore generale e che è anche la sua azienda, mi debbo dissociare nella maniera più chiara dal tipo di trasmissione che lei sta impostando. […] La trasmissione viola in maniera chiara il Codice di autoregolamentazione in materia di vicende giudiziarie nei programmi radiotelevisivi.Di grande acume, o forse di capacità divinatorie, deve essere dotato il dg se, solo dopo pochi minuti di trasmissione, è in grado di prevedere che nel resto della puntata si violeranno le regole. Non è chiaro di quali regole parli: si riferisce alla diffusione del contenuto delle intercettazioni? E perché non si potrebbe? Il codice in questione (disponibile a questo link) afferma che è lecito “diffondere un’informazione che, attenendosi alla presunzione di non colpevolezza dell’indagato e dell’imputato, soddisfi comunque l’interesse pubblico alla conoscenza immediata di fatti di grande rilievo sociale quali la perpetrazione di gravi reati”. Allora forse il direttore si riferisce all’interpretazione da parte di attori del contenuto delle intercettazioni? Anche qui il codice parla chiaro: è lecito “adottare modalità espressive e tecniche comunicative che consentano al telespettatore una adeguata comprensione della vicenda, attraverso la rappresentazione e la illustrazione delle diverse posizioni delle parti in contesa”.  Evidentemente si tratta anche qui “solo” (e dici niente?) di un’”intimidazione” a Santoro o a chi, sulla televisione pubblica, volesse seguirne l’esempio. E d’altronde Masi non potrebbe manco intervenire per far rispettare le regole (ammesso che se ne siano violate): L’accertamento delle violazioni del presente Codice […] e l’adozione delle eventuali misure correttive sono riservati alla competenza di un apposito Comitato”. Tant’è che alla domanda incalzante del conduttore: “Noi stiamo violando le regole? Si o no?”, il direttore tentenna un po’ e poi afferma “Questo non sono io che lo debbo dire.” Ma come? Lo ha appena detto. Strano questo Masi.
Naturalmente l’attacco ad Annozero prosegue anche il giorno seguente quando il ministro dello Sviluppo economico (che naturalmente è bene che si occupi delle trasmissioni televisive di RaiDue), Paolo Romani, dichiara ”Anche stasera Annozero ha superato ogni limite del decoro, della decenza e del rispetto della deontologia giornalistica. Nelle prossime ore ci attiveremo presso le sedi opportune per richiedere la più stretta osservanza delle regole così gravemente violate.” [3]
Il bello (o il brutto) delle due vicende, il caso Lerner e il caso Santoro, è che le polemiche sono scoppiate intorno a due trasmissioni che si sono occupate del caso Ruby: figuriamoci se avessero trattato le recenti questioni di mafia, che tirano in ballo anche il premier (ancora una volta), come abbiamo visto la settimana scorsa; questioni di una gravità ben più alta della storiella di Ruby e delle altre “Arcorine”, che in un paese normale, ora sarebbero in copertina a tutti i giornali e a tutte le trasmissioni tv.
Ma d’altronde di questa situazione penosa in cui versa l’informazione in Italia, ed in particolare il servizio pubblico, non c’è da stupirsi. La RAI è completamente controllata dai partiti politici in Parlamento e dal Governo: difficile aspettarsi un’informazione libera ed imparziale. La RAI è governata da un CdA composto da sette consiglieri eletti dalla Commissione parlamentare di vigilanza (indicati dai gruppi parlamentari) e da due consiglieri indicati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze che è il maggiore azionista della RAI. Il CdA vota il Direttore Generale, anch'esso di nomina del Ministro dell'Economia. Il CdA nomina anche i direttori delle reti e delle testate giornalistiche. [4] Naturalmente però in parlamento ci sono anche forze di opposizione che hanno un peso relativo nelle nomine RAI; e dunque ecco che si rendono necessarie misure di controllo e di pressione straordinarie. Non è passato neanche un anno da quando dall’inchiesta della Procura di Trani, il cosiddetto Trani-Gate, venivamo a conoscenza delle forti pressioni del premier per chiudere Annozero (e qui non è malcostume, ma è reato, almeno secondo la Procura di Trani). Vi ricordate? Il premier suggeriva al commissario Agcom (Autorità Garante delle Comunicazioni), Giancarlo Innocenzi, parlando della trasmissione di Santoro: “Quello che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia un’azione che consenta … che sia da stimolo alla Rai per dire chiudiamo tutto”. Innocenzi poi naturalmente telefonava al direttore della Rai, lo stesso Mauro Masi, e si sfogava, pover’uomo: “Allora, lui [Berlusconi, nda] dice: <<Che cazzo state a fare tutti quanti … >>  mi ha fatto un culo che non finiva più.” [5] Perfino Masi si rendeva conto che le pressioni di Berlusconi sull’Agcom e sulla RAI non erano traducibili in azioni legittime: a Santoro Uno può scrivergli ‘stai attento a ciò che dici’, ma non ‘non puoi fare la trasmissione’. Tu ex ante non puoi far nulla, neanche nello Zimbabwe. Tu devi prima vederla, la trasmissione …”. [6] Giovedì scorso, invece, ha pensato bene di intervenire all’inizio della trasmissione: neanche nello Zimbabwe”, appunto, che è 123esimo nella classifica per la libertà di stampa. Ma forse, grazie a lui, l’anno prossimo lo raggiungiamo.

[1]http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/25/berlusconi-a-linfedele-puntata-vergognosa-lerner-lei-e-un-cafone/88113/

ALLA RICERCA DELLE CENTRALINE PERDUTE

Dove sono finite le centraline per il monitoraggio dell’aria acquistate nel lontano 2002?


DA TRANI - L’ultimo rapporto sulla qualità dell’ambiente redatto e presentato da Legambiente, evidenzia ancora una volta il problema dell’inquinamento in Italia. Il dossier “Mal’Aria 2011”, è stato redatto sulla base dei dati raccolti quotidianamente nel corso del 2010 nell’ambito della campagna “PM10 ti tengo d’occhio”: si sono esaminati i bollettini pubblicati on-line dalle ARPA (Agenzia Regionale per Protezione dell’Ambiente) di ogni regione italiana. Con la sigla PM10 si indicano le polveri sottili, altamente pericolose per l’uomo, in quanto facilmente inalabili. Queste provengono dai processi di combustione, dagli scarichi delle auto, degli impianti di riscaldamento e da quelli industriali. Il risultato delle analisi svolte è impietoso. Come riportato nell’introduzione al dossier “In Europa per respirare aria peggiore della nostra c'è solo un altro Stato dove poter andare, la Bulgaria”. Infatti, risultano essere 48 i capoluoghi di  provincia italiani ad aver superato il limite massimo previsto per legge di 50 μg/m3 per più di 35 giorni. Il numero è diminuito rispetto all’anno precedente, ma resta comunque allarmante. Ancor di più se è vero che “secondo l'Agenzia Europea per l'Ambiente tra le peggiori 30 città europee per superamenti di polveri sottili, biossido di azoto e ozono, ben 17 sono italiane.”
Per quanto riguarda la Puglia il risultato è incoraggiante, poiché per la prima volta nessuna delle nostre città si presenta nella zona rossa della classifica delle città più inquinate. La questione che, invece, allarma e fa riflettere è che in due capoluoghi di provincia pugliesi sono addirittura assenti le centraline per il monitoraggio. Oltre a Foggia, indovinate un po’ dove accade questo? Ebbene si, risposta esatta, anche a Trani non ci sono le suddette centraline. A dire la verità le centraline ci sarebbero, ma non si sa dove sono finite.
L’inizio di questa misteriosa storia risale al 2002. In quell’anno il Comune le aveva acquistate, usufruendo anche dei Finanziamenti POR Puglia, ma tra rimbalzi di competenze e la solita dose di lungimiranza, se ne sono perse le tracce. Mettiamo un po’ d’ordine.
Per i primi due anni, fino al 2004, le centraline e le relative rilevazioni sono state gestite dall’AMET, cui era stata affidata dal Comune la fase di montaggio e messa in funzione. A giugno 2005, a seguito di un’interrogazione consiliare del gruppo dei Verdi, secondo cui si era verificato uno sperpero di denaro pubblico, data l’inattività delle suddette centraline, l’allora presidente dell’AMET Alfonso Mangione sottolineava come “Il progetto di monitoraggio dei livelli di inquinamento è stato regolarmente avviato, tanto che fu anche attivato il collegamento con l'Arpa, a cui per un certo periodo sono stati forniti in tempo reale i dati rilevati. Abbiamo fatto tutto quello che c'era da fare per mettere in funzione le apparecchiature e persino trovato il personale tecnico in grado di seguire questa importante attività”. Tuttavia, con una delibera del luglio 2004 era stata affidata, in via provvisoria, all’AMIU la custodia delle due stazioni mobili e, come denunciato dai Verdi, nella stessa delibera si era deciso di istituire "una banca dati che fornisca la base per una politica di sorveglianza e controllo dell'inquinamento atmosferico". In realtà, fino al 2008, l’AMIU ha affidato per due volte le apparecchiature al Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari; ed è stato proprio questo rimbalzo di competenze a creare una discontinuità, che non ha permesso le regolari rilevazioni, le quali avrebbero dovuto garantire una quotidiana analisi della qualità dell’aria in città. Una delle due centraline era stata, inoltre, utilizzata  per il rilevamento del livello di inquinamento prodotto dalla discarica per i rifiuti solidi urbani. A partire dal 2008, però, il servizio è stato totalmente sospeso. Dove sono finite le centraline? Come mai non si è riattivato il servizio, vista l’ingente somma di denaro pubblico speso per l’acquisto delle stazioni? Non è dato saperlo. Addirittura, è dello scorso aprile la notizia che, dopo la scadenza del contratto triennale (31 dicembre 2009) stipulato con l’AMIU, vi è stata una proroga di altri 3 mesi, in cui però la voce “Monitoraggio ambientale” è stata eliminata. Tale voce prevedeva un costo di 1,73 milioni di euro. Ebbene, questi soldi sono stati destinati ad incrementare la spesa per il deposito in discarica dei rifiuti solidi urbani. In pratica si è formalmente provveduto ad eliminare una voce di spesa per un servizio mai realmente attivato. Assurdo! In un paese civile, ci si sarebbe occupati di riattivare questo importante servizio di monitoraggio. A seguito delle inevitabili polemiche, l’assessore all’ambiente Pina Chiarello aveva garantito lo stanziamento, nel bilancio successivo, dei fondi necessari alla riattivazione del sistema delle centraline, evidenziando l’intenzione di recuperare e soprattutto utilizzare” le apparecchiature in possesso dell’Università.
Al momento, ciò che è certo e che le centraline per il monitoraggio ambientale sono assenti in città. Questione molto grave per una capoluogo di provincia, che conta un alto numero di abitanti ed un elevato tasso di traffico automobilistico sulle strade, per non parlare delle fabbriche in periferia. Nella conferenza di fine anno 2010, il sindaco Giuseppe Tarantini si era affrettato a rendere noti i dati sulla qualità ambientale diffusi dal Ministero della Salute, che premiano Trani rispetto agli altri centri pugliesi. Tuttavia, senza una quotidiana e costante rilevazione, redigere un rapporto veritiero sulla qualità dell’aria in città risulta alquanto difficile. La domanda che più ci assilla è perché non ci si impegni a riattivare un utile servizio come quello del monitoraggio ambientale, pur avendo già a disposizione le apparecchiature e ci si accontenti di rilevazioni e dati parziali, svolte solo in un breve periodo di tempo. Non sarebbe più soddisfacente per un’amministrazione comunale, che vanta di aver realizzato varie piste ciclabili in città e varie zone pedonali nel centro storico, verificare la salubrità dell’aria con dati in tempo reale e sempre disponibili durante tutto l’anno?



domenica 23 gennaio 2011

CASO RUBY: NUOVA RACCOLTA PUNTI PER BERLUSCONI

I GUAI DI BERLUSCONI: DA RUBY ALLE STRAGI DI MAFIA

Altri guai giudiziari stanno per coinvolgere il premier, nell’indifferenza dei media
DALL’ITALIA – L’attenzione riservata alla “vicenda Ruby” da parte dei media nazionali è il primo caso in cui le vicende giudiziarie di un politico italiano (men che meno di Berlusconi) sono portate all’attenzione degli italiani con tanta, quasi nauseante, insistenza. Intendiamoci, la vicenda ha la sua importanza: in un altro paese, il premier sarebbe stato costretto alle dimissioni immediate. Naturalmente i media, o perlomeno quelli più apertamente di regime, hanno il loro interesse nel divulgare con tanta dovizia di dettagli le tristi vicende in cui Silvio Berlusconi è coinvolto. Innanzitutto si cerca il più possibile di addentrarsi nei particolari più pruriginosi, citando il meno possibile quelle che sono le ipotesi di reato: concussione e prostituzione minorile. 
Inoltre, mentre i media indugiano solo sul caso Ruby, altri guai giudiziari sembra che stiano per coinvolgere il premier, in questioni di ben più grave importanza. Parliamo di stragi: delle stragi del 1993 che seguirono quelle di Capaci, in cui morì il giudice Falcone, e quella di via D’Amelio, in cui perse la vita il giudice Borsellino. Per le stragi di Firenze (l’attentato agli Uffizi, in via dei Georgofili,  5 morti, 48 feriti), di Milano (l’attentato al Padiglione d’Arte Contemporanea, 5 morti), di Roma (a S. Giorgio al Velabro e a S. Giovanni in Laterano, 22 feriti) e per quella prevista allo Stadio Olimpico della capitale (saltata all’ultimo).
Nell’indagine sui mandanti occulti di quelle stragi, compiute da Cosa Nostra, la Procura di Firenze iscrisse nel registro degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (con gli identificativi AUTORE 1 e AUTORE 2). Il Pm di Firenze, nel 1998, chiese l'archiviazione del procedimento al termine delle indagini preliminari, nonostante si accertò “un'obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione” (ovvero Forza Italia) e che durante le indagini “l'ipotesi iniziale abbia mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”. [1] Non sono vicende che ci vengono raccontate spesso in televisione. Non ci viene spesso ricordato che Berlusconi e Dell'Utri furono iscritti nel registro degli indagati, anche a Caltanissetta, come mandanti delle stragi di Via D'Amelio e Capaci.  Nel 2002 il fascicolo venne archiviato, su richiesta dello stesso PM, perché il quadro indiziario risultava friabile. [1]
Nel post pubblicato da TranItaliaMondo la scorsa settimana, nell’elenco dei procedimenti giudiziari in cui Berlusconi è coinvolto o lo è stato, tralasciammo volutamente le vicende giudiziarie in cui è coinvolto il premier per questioni di mafia perché avrebbero meritato un approfondimento a parte. Questa settimana si presenta l’occasione per parlarne.
Il pentito Giovanni Ciaramitaro, deponendo a Firenze al processo sulle stragi del 1993, ha infatti tirato nuovamente in ballo il premier. “Francesco Giuliano [un boss di Cosa Nostra, nda] mi disse che erano stati dei politici a dirgli questi obiettivi, questi suggerimenti e in un’altra occasione mi fece il nome di Berlusconi. […] La ragione delle stragi era l’abolizione del 41 bis, l’abolizione delle leggi sulla mafia. Le bombe le mettevano per scendere a patti con lo Stato. C’erano dei politici che indicavano quali obiettivi colpire con le bombe: andate a metterle alle opere d’arte […] chiesi a Giuliano perché dovevamo colpire i monumenti e le cose di valore fuori dalla Sicilia. Lui mi disse che ci stava questo politico, che ancora non era un politico, ma che quando sarebbe diventato presidente del Consiglio avrebbe abolito queste leggi. Poi mi disse che era Berlusconi”. [2]
Dichiarazioni che ricordano molto da vicino quelle rese da un pentito più celebre, Gaspare Spatuzza, che dichiarò: I Graviano mi dissero che gli attentati di Firenze, Milano e Roma non ci appartenevano. Quello era terrorismo. Ma mi dissero anche che era bene portarsi dietro questi morti, così chi si doveva muovere si sarebbe mosso […] Giuseppe Graviano mi disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo. Mi parlò di Berlusconi e Dell’Utri: con loro ci eravamo messi il paese nelle mani”. In seguito a quelle dichiarazioni, secondo quanto riporta la giornalista Claudia Fusani, Berlusconi e Dell’Utri sarebbero stati nuovamente iscritti nel registro degli indagati della Procura di Firenze nell'agosto 2010. [3]
Poi, sempre nel corso di questa settimana, ci sono state le dichiarazioni di un altro pentito, Pasquale di Filippo, che ha dichiarato: ”Da quando avevo 20 anni mi hanno sempre detto cosa dovevo votare politicamente, io e tutti gli altri. Nel ’94, quando ci sono state le elezioni in Sicilia, abbiamo votato tutti per Berlusconi, perché Berlusconi ci doveva aiutare, doveva far levare il 41 bis […] Berlusconi ci doveva aiutare: doveva far levare il 41 bis, cosa che in quel periodo non è successa. Io mi sono lamentato con Bagarella personalmente, dicendogli che là [in carcere, nda] ci stanno ammazzando a tutti. Perché ancora non ha fatto niente? Lui mi ha risposto in siciliano: in questo momento lascialo stare perché non può fare niente. Mi ha fatto capire che c’erano altri politici che gli giravano attorno, nel senso di vedere quello che lui faceva, e quindi lui non si poteva esporre più di tanto. Comunque appena c’è la possibilità lui ci aiuterà. Questo è stato il dialogo che io ho avuto con Bagarella”. [2]
Sempre nell’ambito dello stesso processo, sempre nel corso di questa settimana, altre dichiarazioni di pentiti avrebbero dovuto scuotere l’opinione pubblica in un paese normale. Non in Italia, dove si parlava solo di Ruby & co. Il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli, racconta che tra il 1993 e il 1994, il boss Nino Mangano gli ha detto “che i Graviano avevano in mano un personaggio. […] All’epoca quel nome non mi diceva nulla, ma oggi mi dice qualcosa: Dell’Utri”. Stando alle dichiarazioni di Grigoli, l’appoggio di Cosa Nostra a Forza Italia fu deciso “quando non se ne fece più niente del partito Sicilia Libera e fu deciso che bisognava votare Berlusconi perché fu detto che solo lui ci poteva salvare. Me lo disse Nino Mangano”. Interessanti sono anche le dichiarazioni di Tullio Cannella, colui che fu incaricato nel 1992 di formare il partito politico Sicilia Libera. “Le stragi volevano essere messaggi” a personaggi dello Stato “che avevano preso impegni con Cosa Nostra”. [4] Riemerge ancora una volta il tema della trattativa Stato-mafia già affrontato in questo blog.
A proposito di Dell’Utri, nell’ambito di un’altra vicenda fiorentina, quella che vede indagato il coordinatore del Pdl Denis Verdini per fatture false, scopriamo, sempre dalle notizie della settimana, che, tramite la sua banca, il Credito Cooperativo Fiorentino, nel maggio 2008 transitavano un milione e mezzo bonificati da Silvio Berlusconi per Marcello Dell’Utri, probabilmente violando le norme antiriciclaggio. [5]
Per concludere in bellezza, qualche  giorno fa è venuto fuori anche un pizzino scritto dall’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, destinato al boss Bernardo Provenzano, in cui si legge: “Forse con questa gente non stiamo usando il linguaggio giusto. E’ il secondo Natale che passo in queste condizioni [in galera, nda]. La pazienza come tutti i comuni mortali ha un limite. […] Mi sembra di capire che i vostri amici Berlusconi e il fidato Marcellino si facciano solo i cazzi loro”.
E’ semplicemente assurdo che tutte queste vicende non abbiano avuto nei telegiornali e nei giornali un centesimo dello spazio destinato ai festini di Arcore. E’ assurdo anche che solo in merito alla vicenda Ruby (e non alle vicende ben più serie di cui si dice in questo post), si siano espressi il presidente Napolitano (che chiede “più moralità, più giustizia, più legalità”) e persino il papa Benedetto XVI e la Santa Sede (il card. Bertone chiede che Berlusconi faccia chiarezza “nelle previste sedi giudiziarie”).  Il card. Bagnasco ha annunciato che, addirittura, del caso Ruby “se ne parla al Consiglio permanente della Cei, quello è il luogo istituzionale”.
Perché tutti questi illustri personaggi si interessano tanto alla vicenda Ruby e non si preoccupano per nulla della questione delle stragi di mafia? Giornali e Tv, come detto, in questo occultamento, sono complici. Pensate a cosa succederebbe se i media dessero a queste vicende lo stesso risalto riservato alla vicenda Ruby. Chissà cosa penserebbe l’opinione pubblica? Chissà cosa accadrebbe? Una cosa è certa. Bossi non potrebbe fare, con la stessa disinvoltura, battute sulla presunta persecuzione giudiziaria del premier come quella fatta il 21 Gennaio: Non si mette sotto pressione una persona così: è il presidente del Consiglio, mica la mafia”. [6]


TUNISIA: STORIE DI MODERNA COLONIZZAZIONE

La determinante influenza delle democrazie occidentali sul regime tunisino

DAL MONDO - In queste settimane le attenzioni del mondo sono tutte rivolte alle insurrezioni popolari nell’area nord-africana del Maghreb: prima in Algeria, poi in Tunisia la popolazione ha dato vita a violente sommosse, represse in molti casi con la forza. Ma, mentre in Algeria, dove il potere costituito è più forte, le rivolte non hanno portato alla caduta del governo, in Tunisia queste hanno avuto conseguenze ben più clamorose. Il regime del presidente Zine El Abidine Ben Ali, si è concluso dopo ben 24 anni, con la fuga in Arabia Saudita, di colui che nel 1987 depose l’ex presidente Bourghiba, per “senilità”, con un colpo di stato definito “medico” e che lascia ancora molti dubbi sul ruolo dei Paesi occidentali, e ancor di più della vicina Italia.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso della rivoluzione, che mai Ben Ali avrebbe potuto immaginare che accadesse, è stato il drammatico suicidio di un giovane ambulante della città di  Sidi Bouzid: il ragazzo era stato sorpreso a vendere per strada frutta e verdura senza licenza, ma con l’unico obiettivo di guadagnarsi da vivere. La polizia era intervenuta, anche in modo violento secondo alcune testimonianze, sequestrando la merce e il giovane si era recato al Municipio per la sua restituzione, senza però essere ascoltato: il danno economico e l’umiliazione lo avevano portato a cospargersi di benzina e a darsi fuoco. Questo drammatico evento e la preoccupazione per i rincari dei prezzi dei generi alimentari primari, come grano, farina, pane e olio hanno provocato i disordini, che hanno coinvolto prima le periferie e le città più piccole, per poi coinvolgere anche la capitale Tunisi. Le cronache parlano di decine e decine di morti e della fuga di Ben Alì, fino alla costituzione di un governo di unità nazionale di transizione, con a capo il Primo Ministro Mohamed Ghannouchi e al cui interno vi sono anche esponenti dell’opposizione: ma nonostante le prime misure intraprese dal nuovo governo per fermare la rivolta, come l’abolizione del Ministero dell’Informazione, reo di imprigionare e censurare i giornalisti contrari al regime,  e l’avvio dell’inchiesta contro la corruzione di alcuni esponenti politici, i disordini continuano. I promotori sono ancora convinti che il Paese sia comunque governato dalla “vecchia” classe politica e non vogliono che la rivolta sia loro “scippata”.  
Questo post non ha, tuttavia, l’obiettivo di raccontare le cronache attuali della rivolta (consultabili sulle vari testate giornalistiche), ma bensì esaminare il ruolo dei Paesi occidentali e, soprattutto dell’Italia, nella storia contemporanea della “giovane” Tunisia, indipendente dagli anni ’50. La nostra è la Nazione europea più vicina geograficamente all’area interessata e che, nella sua storia ha sempre avuto un rapporto stretto con essa. L’emigrazione italiana in Tunisia, sempre attiva sin dal X secolo, ha avuto il suo momento significativo tra il XIX e il XX secolo: essa ha dato vita a una delle più importanti comunità italiane nel mondo. Senza dubbio quest’ultima ha dato un grandissimo contributo allo sviluppo sociale e culturale di uno dei Paesi più “occidentali” del continente africano.
La Tunisia rappresenta, inoltre, una realtà molto complessa, multietnica e multiculturale: nella storia sul suo territorio sono transitati molti popoli. E’ lecito pensare che i disordini di questi giorni siano anche causa delle politiche del mondo occidentale? Ciò che è certo e che questo ha sempre guardato alla Tunisia come un Paese modello nel mondo arabo, uno Stato filo-occidentale ed economicamente stabile, nonostante l’assenza di democrazia e libertà. Più volte l’ex presidente Ben Alì è stato considerato un affidabile alleato, colui che è riuscito a compiere il passaggio dall’economia socialista a quella capitalista di stampo liberale. Da molti storici, proprio questo affidarsi a un tipo di economia prettamente occidentale, è stato considerato il più grande errore dell’era Ben Alì: tutto ciò ha provocato un altissimo tasso di disoccupazione nel Paese. Questa politica ha favorito l’insediamento in Tunisia di tantissime aziende straniere e ha fatto lievitare i loro investimenti. E la Tunisia cosa ha ricevuto in cambio? Ora nel Paese vi è un enorme numero di professionisti, ma quasi totale mancanza di manovali e tecnici. Questa discutibile politica economica tunisina non è riuscita a formare gente specializzata, per sfruttare al meglio le risorse di cui il Paese dispone. Oggi la Tunisia è la prima, tra le Nazioni africane, a pagare la crisi economica dell’occidente: ma questo è un caso tutt’altro che isolato. Questo è ciò che più dovrebbe preoccupare i Paesi che nella Tunisia hanno creduto in passato.
Tuttavia pur di preservare gli “affari” nel Paese nord-africano, esponenti politici di primo piano, hanno in molti casi sorpreso con le loro dichiarazioni. Alcuni esempi sono quelle di George Bush, il quale in occasione di una visita di Ben Alì alla Casa Bianca, definì il presidente tunisino un grande alleato contro il terrorismo e lo ringraziò per aver diffuso la libertà di stampa nel Paese (eppure secondo la classifica della libertà di stampa di Reporter sens frontière la Tunisia figura al 128° posto!). Nicolas Sarkozy giudicava nel 2008 l’atmosfera tunisina come una “atmosfera di libertà” (ma i numerosi casi di violazione dei diritti umani dimostra il contrario). Tuttavia, subito dopo la rivolta, gli occidentali hanno voltato le spalle a Ben Alì e, addirittura, la Francia ha rifiutato che il fuggitivo presidente atterrasse nel suo territorio (episodio collegato a quello riguardante il misterioso atterraggio di un velivolo tunisino nell’aeroporto di Cagliari). Con il pretesto di combattere il terrorismo, i Paesi più ricchi in molti casi hanno sostenuto regimi dispotici come quello di Ben Alì, finanziandoli economicamente, addestrandone le forze di sicurezza e sfruttandone le ricchezze.
E il ruolo dell’Italia? Il nostro Paese assunse un ruolo fondamentale nel golpe contro Bourghiba, che portò al potere Ben Alì. C’è da ricordare come l’Italia preleva il gas dall’Algeria e come il gasdotto passi nel territorio tunisino. Nel 1987 tra i due Paesi vicini stava per scoppiare una guerra che avrebbe potuto provocare serie difficoltà agli affari italiani nel Maghreb. L’Algeria minacciava di invadere la Tunisia, a causa di vecchie vertenze di confine e alla decisione di Bourghiba di giustiziare alcuni integralisti islamici algerini. Bisognava favorire la caduta del laico Bourghiba, per evitare che venissero chiusi i rubinetti del gasdotto algerino. Un ruolo fondamentale ebbero i maggiori esponenti politici italiani dell’epoca: Giulio Andreotti, Bettino Craxi e il capo del Sismi Fulvio Martini e l’Eni, nella figura dell’allora presidente, nonchè futuro senatore, Franco Reviglio. Da una intervista del 1999 de La Repubblica a Martini, trapelano situazioni che senza dubbio dimostrano come la tesi del coinvolgimento dell’Italia nelle vicende tunisine sia più che dimostrata. Secondo Martini, Craxi chiese a lui di recarsi in Algeria, con l’intento di evitare che la destabilizzazione tunisina provocasse un “colpo di testa” degli algerini: “L'Italia offriva aiuto all'Algeria, e in cambio chiedeva aiuto all'Algeria nel controllo del terrorismo in Italia". Da quel momento partì dall’Italia una enorme operazione di politica estera, che portò all’individuazione del generale Ben Alì come successore al potere. La proposta fu girata a tutti i servizi segreti coinvolti, da quelli francesi (vecchi colonizzatori della zona), a quelli tunisini, da quelli algerini, fino a tutti i capi al potere nei Paesi della zona nord-africana. Chi inizialmente si oppose fu proprio il Capo di Stato Maggiore francese, il quale invitò (senza poca arroganza) il generale Martini a stare lontano dalla Tunisia, ancora considerata territorio dell’Impero Francese. Ma il piano Craxi-Andreotti andò avanti, tra l’altro senza che gli americani fossero coinvolti. Portato Ben Alì al governo, dopo aver fatto firmare a 7 medici un referto che certificava l’incapacità del vecchio presidente dovuta a una “strana” grave malattia,  l’Italia finanziò politicamente ed economicamente il neo governo tunisino. I giornalisti all’epoca lo chiamarono “golpe costituzionale”. Ma se l’Italia ne guadagnò, per la Tunisia non fu altrettanto, poiché il regime di Ben Alì si sarebbe poi configurato come un regime autoritario e durevole nel tempo. E in tutto ciò ci ha guadagnato anche Craxi, vista la grande accoglienza riservatagli da Ben Alì nel periodo della latitanza, dopo la fuga dai PM di Mani Pulite. Tutto torna.  Le vicende attuali hanno non poco imbarazzato gli ex seguaci di Craxi, come Gianni De Michelis, che, a chi gli faceva notare come Ben Alì abbia instaurato in Tunisia una dittatura, ha risposto cinicamente “Non una dittatura, diciamo una democratura.
Insomma siamo di fronte a storie losche, a torbide missioni dei nostri servizi segreti sempre attenti ad asservire il potere, anche a costo di facilitare l’instaurarsi di regimi dittatoriali, pur di preservare affari in cambio di “piccoli” favori, come il gas a buon prezzo o, addirittura, la latitanza. Storie troppo scomode da raccontare, difficile da riportare alla luce, storie di un’epoca che vorremmo fosse finita, ma che dopo anni si ripresentano attraverso la drammatica rivolta di un popolo per troppi anni oppresso, a causa delle “particolari attenzioni” dell’occidente democratico.





domenica 16 gennaio 2011

ILLEGITTIMO IMPEDIMENTO: I PROCESSI DI BERLUSCONI

Breve sunto di alcune delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto e coinvolgono il premier
DALL’ITALIA – Tutti i regimi, in qualche modo, si fondano sull’oblio. Quello che attualmente vige nel nostro paese naturalmente non fa eccezione. Chi provvede ad attuare la “politica” della cancellazione della memoria (parliamo di memoria storica, ovviamente) e della distorsione della realtà, sono i mezzi di comunicazione di massa e le televisioni, in primo luogo. Eccovi un esempio: il 13 gennaio 2011 la Corte Costituzionale ha sostanzialmente “bocciato” il “legittimo impedimento”, ovvero la legge n.51 del  2010. I media in genere tendono a dare il fatto per scontato e si dedicano alla caccia delle dichiarazioni dei politici, trasformandosi da organo di informazione in mera tribuna politica e dando avvio al fenomeno della “scomparsa dei fatti”. In questo caso i telegiornali riportano le reazioni degli avvocati di Berlusconi, Niccolò Ghedini (deputato Pdl) e Piero Longo (senatore Pdl), “La legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace”, la sbottata del ministro Sandro BondiSiamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico", la controreazione del parlamentare Pd Anna FinocchiaroMi sembra chiaro che a saltare è l'impianto complessivo della legge”. Nella foga di rincorrere tutte le più disparate opinioni, i media dimenticano di riportare quello che è ha effettivamente deliberato la Consulta: “E’ illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 138 della  Costituzione, l’art. 1, comma 4, relativo all’ipotesi di  impedimento continuativo e attestato dalla Presidenza del  Consiglio dei ministri.” Si afferma, inoltre che la legittimità dell’impedimento è valutata dal giudice nel’ottica di un ragionevole bilanciamento tra esigenze e secondo un principio di leale collaborazione tra poteri. Si precisa inoltre che “Ove la Presidenza del Consiglio dei ministri attesti che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi”. Se i media avessero pubblicato queste dichiarazioni, si sarebbe fugato ogni dubbio. [1]
Si parla di impedimento a comparire in tribunale da parte del Premier, ma ci si dimentica di riferire quali sono i processi in cui Silvio Berlusconi è imputato, consentendo al Cavaliere di dichiarare che si tratta di procedimenti “assolutamente inventati, ridicoli, grotteschi”, senza permettere al cittadino di capire di che stiamo parlando. Per sopperire a questa mancanza, abbiamo deciso di fornire l’elenco completo di tutti i procedimenti giudiziari a carico di Berlusconi (elenco facilmente reperibile in rete da più parti [3] [4] [5]), dal primo all’ultimo, anche per dimostrare che non è vero che il presidente è perseguitato da quando è “sceso in campo (il 14 gennaio Berlusconi dichiara “Sanno tutti che c’è persecuzione politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo”). [2]
1983 - La Guardia di finanza indaga su Berlusconi in un'inchiesta su un traffico di droga. Nel rapporto si legge: “E’ stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane.” L'indagine è archiviata nel 1991.
1990 - La Corte d’appello di Venezia dichiara Berlusconi colpevole di falsa testimonianza, a proposito della sua iscrizione alla loggia massonica P2. Ma il reato è estinto per l'intervenuta amnistia del 1989.
1994 - Berlusconi riceve un invito a comparire presso la Procura di Milano davanti al PM Antonio Di Pietro. Nell’anno seguente è rinviato a giudizio concorso in corruzione, in seguito al versamento di tangenti ad ufficiali della Guardia di Finanza impegnati in verifiche fiscali presso quattro aziende dell'imprenditore milanese (gli episodi di sarebbero verificati nel 1989, 1991, 1992 e 1994). In primo grado il processo si conclude con una condanna a 2 anni e 9 mesi di reclusione; il giudizio di Appello lo assolve per “non aver commesso il fatto” in uno dei quattro casi, mentre per gli altri interviene la prescrizione; la Corte di Cassazione assolve l'imputato per tutti e quattro i capi d'accusa.
1998 - Berlusconi è condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione, in primo grado, per le tangenti versate al Psi di Bettino Craxi fino al 1992. E’ il cosiddetto processo “All Iberian 1”. In Cassazione, si decide per il proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato.
1998 - Nato da una tranche di “All Iberian 1”, il processo “All Iberian 2”, in cui Berlusconi è imputato per falso in bilancio aggravato, si conclude nel 2005 “perché il fatto non costituisce più reato in seguito alla depenalizzazione del falso in bilancio attuata dallo stesso Governo Berlusconi, nell’ambito della riforma del diritto societario.
1998 - Berlusconi è rinviato a giudizio per il reato di falso in bilancio, in seguito al versamento “in nero” di una decina di miliardi di lire per l’acquisto del giocatore Gianluigi Lentini dal Torino al Milan. Anche in questo caso, il premier si avvantaggia della riforma approvata dal suo stesso governo che accorcia i tempi della prescrizione, portando al proscioglimento dell’imputato.
1998 - Nell’acquisto della società Medusa cinematografica, Berlusconi non mette a bilancio 10 miliardi. In primo grado è condannato a 1 anno e 4 mesi per falso in bilancio. Viene poi assolto in appello e in cassazione “in forma dubitativa”, con la motivazione che, data la sua ricchezza, il premier potrebbe non essersi reso conto dell’operazione.
1999 - Berlusconi è accusato di appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio per l’acquisto dei terreni intorno alla sua villa di Macherio. Il processo si conclude in parte con un’assoluzione, in parte con la prescrizione e in parte come conseguenza di un’amnistia.
2001 - La Corte d’Appello decide di processare Berlusconi per corruzione per aver pagato i giudici di Roma in modo da ottenere una decisione a suo favore nel dirimere la questione del cosiddetto Lodo Mondadori, dal cui esito dipendeva la proprietà della casa editrice. Tale ipotesi di reato è confermata in Cassazione nel 2009: la sentenza a carattere esecutivo condanna la Fininvest a risarcire circa 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti.
2004 - Berlusconi è in parte assolto e in parte prosciolto per prescrizione del reato, in primo grado, in merito all’accusa di corruzione dei giudici durante le operazioni per l'acquisto della Sme. Nel 2007 la Cassazione lo assolve per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste.
I processi in cui il premier è attualmente coinvolto e che dovrebbero ripartire dopo lo stop che era stato imposto per il legittimo impedimento, sono i seguenti [6]:
-          Processo Mills. Si ipotizza l’esistenza di fondi neri, ricavati dai proventi della compravendita di diritti televisivi. Tra poco più di un anno scatterà la prescrizione. La Cassazione, affermando la responsabilità del corrotto Mills, ha accertato che il fatto storico effettivamente si verificò e questo ovviamente vale anche per il presunto corruttore (Berlusconi).
-          Processo Mediaset diritti tv. Il premier è accusato di frode fiscale. I fatti al centro della causa che risalgono fino alla data del 2005 sembrano a questo punto destinati alla prescrizione.
-          Processo Mediatrade. Berlusconi è accusato di appropriazione indebita fino al 2006 e di frode fiscale fino al 2009.
In numerose altre situazioni il premier è stato ed è tuttora indagato; ricordiamo soltanto due casi:
-          La vicenda di Trani, il cosiddetto Trani-gate, in cui il premier è accusato di aver esercitato “pressioni sull'Agcom per arrivare alla chiusura di Annozero”.
-          La vicenda della marocchina Ruby, l’unico caso (chissà perché) che sembra aver appassionato i media.
Concludiamo questo post con una frase che sicuramente al lettore parrà di aver sentito più volte in questi anni: “Quello che sto subendo è il frutto di una campagna denigratoria, è tutta una speculazione comunista, sissignori … I giudici che mi stanno perseguitando, e soprattutto X, sono tutti comunisti!. Chi è X? Vediamo se indovinate? Il Pm Ilda Boccassini, Fabio De Pasquale? No, siete fuori strada. X è l’avvocato Giorgio Ambrosoli e a pronunciare la frase era Michele Sindona, noto corruttore e bancarottiere, mandante dell’omicidio dello stesso Ambrosoli, ammazzato lui stesso, quando finalmente fu arrestato, da un noto caffè al cianuro.
[6] http://www.repubblica.it/politica/2011/01/13/news/schedda_processi-11191428/

sabato 15 gennaio 2011

QUESTIONE ALBERGHIERO: ANTIPATIA O INCAPACITA’?

Considerazioni sulle ultime dichiarazioni in merito alla vicenda

DA TRANI - La “questione alberghiero” anima ancora il dibattito nel mondo politico tranese, che, a quanto pare, non ha nient’altro su cui discutere. L’intervento che, ovviamente, ha fatto più scalpore è quello del sindaco Giuseppe Tarantini il quale, in una lettera al Presidente della regione Puglia Nichi Vendola [1], sottolinea come sia stata attuata una politica anti-Trani da parte della sua giunta (che ha stoppato l’istituzione dell’alberghiero), e non solo in merito a codesta questione. Nella lettera Tarantini rivendica ancora una volta la peculiarità di polo turistico di Trani, ideale per ospitare un nuovo istituto, e si chiede se da parte di Vendola ci sia una sorta di antipatia nei confronti della nostra città. Siamo al grottesco. Com’è possibile che Vendola, molto spesso presente a Trani, in manifestazioni politiche e culturali, che in queste sedi non perde mai un’occasione per lodare le bellezze della nostra città, e che dalla nostra cittadinanza ha sempre avuto soddisfacenti risposte nelle tornate elettorali degli ultimi anni, possa provare così tanto astio da negare l’istituzione dell’alberghiero a Trani? Non sarà mica che la Giunta Regionale pugliese (a cui spetta l’ultima parola in queste occasioni) abbia valutato ogni aspetto e sia giunta a questa conclusione, considerati anche i continui tagli ai fondi scolastici messi in atto dal governo (di cui quasi mai si parla)? Inoltre l’antipatia, tanto enfatizzata dagli esponenti del centro destra tranese, non dovrebbe essere dovuta al diverso colore politico delle due amministrazioni, se è vero che città come Andria e come le stesse Margherita di Savoia e Molfetta, direttamente toccate da questo tema, e amministrate da giunte di centro destra, riescono a farsi rispettare in Consiglio Regionale, ottenendo risposte positive alla maggior parte delle loro richieste.
E allora qual è la vera motivazione? Qualcuno, come il consigliere comunale tranese  Dino Marinaro (Fli), arriva alla tesi che l’antipatia provata da Vendola non sarebbe nei confronti della città, ma bensì nei confronti dello stesso Tarantini. Il pensiero espresso da Marinaro sarebbe, a suo dire, quello della maggior parte della cittadinanza [2]. Ma su cosa si fondano queste gravi accuse? Le definiamo tali perché sarebbe davvero deprecabile amministrare qualsiasi ente basandosi su personalismi, atti a favorire qualcuno, sfavorendo altri. Se davvero fosse questo il motivo di tale astio, come mai i politici tranesi, o chi per loro, non denunciano questo comportamento? La verità è che in sede di Consiglio Regionale non è presente alcun esponente tranese, che sia di maggioranza o di opposizione. Una città, capoluogo di provincia, per niente rappresentata e con nessuna possibilità di essere salvaguardata in occasioni come queste. Nessun partito politico cittadino è stato in grado di presentare opportuni candidati da portare in Regione, oppure nessuno di quelli presentati è stato in grado di convincere l’elettorato, evitando una distribuzione tanto uniforme di voti da non portare alcun candidato oltre il quorum necessario per la sua elezione.
La situazione in Regione è, quindi, resa leggermente più complicata dall’assenza di rappresentanti politici tranesi; ma visti i risultati ottenuti dalla nostra città in merito ad uffici ed enti, in Provincia non va molto meglio. Trani non è stata mai protagonista delle discussioni riguardanti la scelta delle sedi degli uffici provinciali più importanti, conseguenza del fatto che c’è stata una totale assenza di iniziative politiche atte ad ottenerli. Eppure in Consiglio Provinciale vi sono ben 5 tranesi, di cui 4 di maggioranza. Questi deludenti risultati dimostrano come anche in sede provinciale Trani non ha tutta questa importanza, ma nessuno parla di antipatie o favoritismi.
I nostri amministrazioni dovrebbero rendersi conto della loro incapacità di rappresentare coloro che li hanno scelti per far si che Trani possa ricoprire un ruolo importante, ancor di più in veste di co-capoluogo. E invece si limitano a criticare e scaricare la colpa dei loro insuccessi su coloro che si interpongono sulla loro strada, sbraitando e sbandierando antipatie di ogni genere.
Questa è la politica in Italia, Paese dove a nessuno conviene remare fianco a fianco nell’interesse dei cittadini: l’importante è guadagnarsi la pagnotta, il resto conta poco.