domenica 28 novembre 2010

CEMENTERIA? NO GRAZIE!



Prosegue la protesta contro l'apertura della nuova cementeria

DA TRANI - Lo scorso 10 maggio, in Palazzo di Città a Trani il sindaco Pinuccio Tarantini e il presidente della General Cemento Puglia Vincenzo Matarrese hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per la realizzazione, in territorio di Trani, di un'impianto di produzione e micromacinazione del clinker: in poche parole, si è trovato un accordo sulla realizzazione di una nuova cementeria (nell'immagine accanto è raffigurato un fotorendering del progetto [1]). La General Cemento, comprendente quattro aziende tra cui quella dei Matarrese, è una delle più importanti produttrici di calcestruzzo; l'intento del gruppo era quello di aprire l'indotto in Albania, ma l'amministrazione comunale tranese si è inserita nella trattativa, offrendo maggiori garanzie. L'investimento è molto imponente (della durata di 4 anni per un costo complessivo di 120.000.000 €) e, secondo il protocollo, dovrebbe garantire lavoro a circa 110 operai.[2] Tuttavia sono molte le perplessità circa la realizzazione dell'impianto e in tutti questi mesi si è molto discusso sui possibili vantaggi di questa decisione, ma anche sugli aspetti negativi, che non sono pochi, anzi! A Trani hanno criticato tale scelta non solo i partiti politici di opposizione [3], ma anche la società civile, dottori e agricoltori, oltre ad associazioni come Legambiente.
I motivi sono presto esposti. Innanzitutto, vi è la questione riguardante l'impatto ambientale, considerando che la cementeria sorgerà in zona agricola tra Andria e Trani. Nel protocollo d'intesa, come fatto notare dai membri della maggioranza in Consiglio Comunale, si sottolinea che nell'impianto non saranno bruciati rifiuti, ma sono in molti coloro che non credono a tutto ciò. Nel corso del Consiglio Comunale del 16 giugno scorso (convocato per approvare la variante al Pug, di cui si parlerà nel seguito), molto aspre sono state le polemiche tra i due schieramenti politici sulla questione impatto ambientale. [4] Non ci vuole certo uno scienziato per capire come le emissioni nell'atmosfera possano essere dannose sia per l'uomo sia per l'agricoltura ed imbarazzanti sono state le prese di posizione della maggioranza, in particolare quelle del sindaco, secondo il quale non vi è alcuna violenza al territorio in quanto “la zona agricola è un'enclave compresa tra un azienda di calcestruzzo e la discarica Amiu”: cosa significa questo? Che si può continuare a realizzare industrie, tanto ormai quella zona è compromessa? Certo, Tarantini è premuroso nel dire dire che non vuole assolutamente che nella cementeria si brucino rifiuti, poiché “noi ci fidiamo dei termovalorizzatori moderni […] e non delle cementerie adattate”, ma inappropriate sono state le sue parole riguardo le polveri sottili e le nano-patologie ad esse correlate; secondo il sindaco, “sulla nano-patologia non vi sono articoli su tutte le riviste scientifiche più accreditate. Questo perchè le nano-particelle vengono emesse non dalle ciminiere, ma dalle marmitte di un qualsiasi veicolo, quando il vostro salumiere taglia il prosciutto, quando sbattete il polpo appena pescato sullo scoglio”: roba da far strabuzzare gli occhi a chiunque. [4] E' proprio a seguito di queste dichiarazioni che le polemiche sono uscite dai palazzi di governo, interessando anche medici ed esperti: un primo acceso dibattito si è avuto tra il dott. Dino Leonetti e il sindaco Tarantini, a cui hanno fatto seguito le dichiarazioni del dott. Ferdinando Laghi dell'ISDE (International Society of Doctors for the Environment), il quale ha preso le difese del suo collega. Alle accuse di Leonetti, secondo cui alla prima carica cittadina non interessano i risvolti ambientali della vicenda, fanno eco le parole di Laghi, che innanzitutto sottolinea il fatto che in queste decisioni devono essere coinvolti anche i cittadini, con una corretta informazione, in quanto è in gioco la salute di tutti. Inoltre, Laghi evidenzia come un protocollo d'intesa non sia molto vincolante riguardo tali temi e considera come sia più conveniente per un imprenditore, a cui legittimamente interessa il guadagno, preferire un combustibile gratuito (come lo sono i rifiuti) ad uno convenzionale, più costoso. L'esperto ha molte perplessità anche a riguardo della fiducia che Tarantini nutre per i moderni termovalorizzatori: infatti, secondo Laghi, questi “emettono inevitabilmente nell'ambiente prodotti tossici e cancerogeni attraverso le ceneri di combustione (pari al 25-30%) e quelle volanti. Nessun filtro attualmente in commercio è in grado di intercettare la componente ultrafine del particolato. Senza contare poi le diossine e le migliaia di sostanze sconosciute derivanti dalla combinazione tra diversi materiali di volta in volta inceneriti”. [5] Insomma sono state confutate tutte le dichiarazioni fatte a difesa della realizzazione dell'impianto. Il tema ambientale è stato anche impugnato dagli agricoltori della zona, che temono di essere danneggiati dalle emissioni di sostanze nocive che possano compromettere la qualità dei raccolti e, di conseguenza, ridurre le esportazioni dei nostri prodotti, celebri in tutto il mondo: rigidi a riguardo sono i disciplinari che regolano le varie denominazioni DOP, DOC, IGP sui prodotti alimentari.[6] Dell'impatto ambientale si è discusso anche nel Consiglio Comunale della vicina Andria: anche lì sono molto preoccupati per i pericoli ambientali che una nuova cementeria potrebbe causare, data anche la presenza di un simile impianto a Barletta, in cui, secondo alcuni consiglieri, negli ultimi anni l'emissione di monossido di carbonio è in continuo e sospetto aumento. [7]
Ma è proprio alla cementeria barlettana che ci si ricollega per un'altra questione. Infatti, quell'impianto non funziona a pieno regime ormai da anni: è proprio indispensabile realizzarne uno simile a pochi chilometri, considerando anche la crisi in atto nel campo dell'edilizia? Se lo chiede tra l'altro anche Legambiente, la quale ha promosso una raccolta firme (con lo slogan “Inutile e dannosa”) per fermare il progetto dei Mataresse e annullare l'accordo: il gran numero di firme raccolte finora conferma come a molti stia a cuore la propria salute. [8]
Veniamo ora alle questione della variante al Pug, approntata dal Consiglio Comunale del 16 giugno con 31 voti a favore. Questione molto scottante, sulla quale, tuttavia, la minoranza di centrosinistra non è stata compatta (tanto per cambiare). Il consigliere Di Gregorio (Verdi) si chiede “come mai già si stravolge il tanto glorificato Pug dopo pochi mesi?”. [4] Da poco, infatti, c'è stato il passaggio dal Prg (Piano Regolatore Generale) al Pug (Piano Urbanistico Generale): quest'ultimo è meno vincolante, ma nel redigerlo è essenziale l'informazione e la partecipazione più o meno attiva della cittadinanza. Ma la trattativa tra comune e Mataresse è andata avanti segretamente e resa nota solo ad accordo raggiunto. Ci si chiede, inoltre, se era proprio necessario modificare il Pug per accontentare un privato, sottraendo la zona al vincolo agricolo e trasformandola in industriale: non si poteva scegliere una zona già con questa tipizzazione, senza intaccare il Piano Urbanistico? Tuttavia ciò che emerge è che il terreno scelto è proprietà dei Matarrese: tutto torna. Insomma una questione che lascia seri dubbi su come sia stata gestita. Per non parlare dell'accordo sulla manodopera da impiegare nella nuova cementeria: l'azienda si sarebbe impegnata ad assumere solo operai locali. Ma come è stato più volte indicato dall'opposizione un protocollo d'intesa non può, secondo la legge, regolare le assunzioni in base al luogo di nascita: quello sottoscritto è solo un'intesa di massima, ma nulla vieta all'azienda di assumere manodopera non tranese. E c'è già chi parla di clientelismi e di come i posti siano già occupati da “amici e parenti” [9]; inizialmente si era parlato di assumere gli operai cassaintegrati della ex Franzoni Filati, ma seri sono i dubbi che questa eventualità si realizzi.
Vorrei concludere con una serie di domande su questa vicenda ancora tutta in divenire e che potrebbe avere altri risvolti (speriamo positivi) in futuro, lasciando a chi legge l'opportunità di pensarci e darsi una risposta. Siamo sicuri che aprire una cementeria a Trani possa giovare alla cittadinanza e che piuttosto a giovarne siano sempre e solo i soliti? Dopo l'esperienza della Franzoni Filati, di cui tutti conoscono la conclusione, siamo ancora certi di affidare lo sviluppo della città ad imprenditori senza scrupoli, i quali alla prima difficoltà sono pronti a chiudere bottega e a lasciare intere famiglie senza un lavoro? Inoltre, variare il Pug alla richiesta di un singolo privato non potrebbe creare un pericoloso precedente per la nostra città? Infatti, nessuno in futuro ci penserà due volte prima di chiedere ai nostri amministratori di insediare qualsivoglia azienda nel proprio territorio chiedendo semplicemente una variante al Pug. Ancora, siamo sicuri che voler aprire un simile impianto facendo leva solo sulla questione occupazione, utilizzando quello che è già stato denominato “ricatto del lavoro”, e trascurando l'impatto ambientale e la vocazione turistica e agricola della nostra terra, significhi fare il bene di Trani? Non si potrebbero attuare politiche di occupazione, sfruttando le innumerevoli risorse che mette a disposizione il nostro territorio, senza deturparlo?
A voi l'ardua sentenza...




RIFORMA GELMINI.....ZERO E LODE!!!!

Proteste in tutt'Italia, ma il ministro è ancora in trincea.

DALL'ITALIA - Immagina di andare a cena a casa di un tuo amico, di entrare e trovare altri 10 invitati. Cosa ti accomuna? Beh, è molto semplice: il fatto che tutti mangerete ciò che cucinerà il tuo amico, d'ora in poi chiamato “Amicofrizt”. Ti dicono che il cuoco non è un fenomeno in cucina, ma per te è un dettaglio inutile perchè sei un tipo che non giudica a priori. Ecco che arriva l'Amicofritz e dice: <<Ragazzi buonasera, stasera mangiamo penne al pesto!>>. Tra gli altri invitati, però, senti dei mugugni, a molti non va a genio, a molti non piace, a te il pesto crea una reazione allergica. Allora si alza un voce che dice: <<Gnocchi al sugo, noi sappiamo farli e abbiamo anche gli ingredienti!!!>>. Al che il padrone di casa esclama: <<E no! Si mangia pasta al pesto, punto e basta! E non mi venite a dire che siete allergici al pesto perchè non mi interessa proprio!!!>>.
Tu cosa avresti fatto? Avresti obbedito e mangiato pasta al pesto provocando al tuo corpo una reazione allergica?
Bene, ora immagina che tu sia uno studente, che gli altri invitati siano studenti ricercatori, professori e assegnisti, che la pasta al pesto sia la “riforma Gelmini”, che gli gnocchi siano una proposta alternativa alla riforma e che il padrone di casa sia il ministro Gelmini.
Forse con questa modalità, o meglio, con questo gioco di ruoli è più facile capire il perchè la protesta delle università sia così accesa. Certo la violenza non bisogna mai usarla, siamo d'accordo. Ma sono mesi che si protesta e sono mesi che il ministro Gelmini fa l'orecchio da mercante. Dopo manifestazioni su manifestazioni, i ragazzi, che stanno vedendo il loro futuro andare in fumo, non sanno più che pesci prendere e quindi alzano sempre più la voce per farsi sentire meglio. Ma la violenza è comunque da condannare senza ombra di dubbio.
Certo, è anche vero che non si spiega quale idea di democrazia abbia il ministro della Pubblica Istruzione: se si fa una riforma che riguarda le Università e questa riforma non viene accettata, anzi, viene contestata da tutti gli Atenei e in tuta Italia per mesi, magari, forse, democraticamente si strappa la riforma e se ne fa un'altra. Non si continua ostinatamente con l'irritante motto del “questi studenti sono stati monopolizzati dalla sinistra”[1]

Ma quali sono i punti della discordia? Contratti a tempo, membri esterni nella governance, incertezza sulle risorse, i precari in cattedra, i criteri dei fondi e le regole dei concorsi [2 , per approfondire]
E gli studenti, i ricercatori e professori, scendono in piazza, effettuando blitz nei luoghi simbolo d'Italia e man mano la protesta cresce. Occupati Torre di Pisa, Colosseo, Mole Antonelliana, Sant'Antonio a Padova, e San Marco a Venezia. Migliaia a Montecitorio, cariche a Firenze, Bologna e Torino.  [3]
La protesta più accesa si è avuta a Roma dove alcuni studenti, nel corso della manifestazione, hanno superato le barriere di sicurezza, tentando di entrare a Palazzo Madama, sede del Senato, ma sono stati allontanati dalle forze dell'ordine, che hanno chiuso il portone. Durante l'invasione dell'atrio, una persona ha accusato un malore e i ragazzi sono stati trascinati e respinti all'esterno. Fuori da Palazzo Madama c'è stato lancio di fumogeni e uova contro il portone. Il corteo si è diretto, poi, a palazzo Grazioli. "Dimissioni, andate a casa", hanno urlato gli studenti, bloccati a pochi metri dall'edificio dal cordone della polizia in tenuta anti-sommossa.[3.a]

A Bari, in questi giorni, non ci sono stati scontri ma ci sono state proteste: l'Ateneo ha esposto sulla sua facciata drappi neri in segno di lutto con uno striscione con scritto “privati della giustizia”. Una “catena umana” composta da circa 300 tra studenti, docenti e ricercatori universitari, ha percorso il quadrilatero dell'Ateneo dove si è svolta un'assemblea improvvisata, in piazza Umberto, davanti all'ingresso principale dell'Università, alla quale ha preso parte anche l'assessore regionale per il Diritto allo Studio, Alba Sasso; mentre nel pomeriggio nella facoltà di Lettere i professori e i ricercatori hanno indossato una coccarda in segno di lutto durante le sedute di laurea. Al politecnico barese, invece, la facoltà di Ingegneria è stata occupata dall'alba, in particolare due aule, un dipartimento e la presidenza.

Anche a Trani gli studenti firmano il foglio delle presenze nella giornata dello sciopero internazionale contro "gli abusi sul sapere". L'inizio della manifestazione organizzata dal "Comitato scuola pubblica Trani" è partita dal Liceo Scientifico per raggiungere Piazza della Repubblica. Nel volantino titolato "Il grande incubo" e con l'immagine di Tremonti e della Gelmini con la descrizione "Ladri di futuro", i ragazzi del Comitato scuola pubblica Trani scrivono: «Vogliamo costruire un comitato di difesa della scuola pubblica. Il governo ha predisposto a partire dalla legge n.133 (art.64, Capo II) una serie di tagli che minano le fondamenta del nostro futuro. Difendiamo la scuola, il nostro futuro e il nostro lavoro».[3. b]


E, dopo che l'opposizione sia andata sui tetti dell'Università, Bersani e Di Pietro in primis, la parte più comica la fanno, come sempre i programmi televisivi e i telegiornali. Immaginando una canzoncina da circo, quella che mettono quando entrano gli animali, ci si appresta ad elencare le migliori esibizioni: medaglia di bronzo allo scontro Gelmini-Bersani. Il ministro dice a “Mattino cinque” (che strano!!!) riferendosi a Bersani: <<Non si capisce se in veste di segretario precario del Pd, piuttosto che di studente ripetente>>. Secca la risposta di Bersani: <<Ecco i miei voti, come promesso, del corso di Filosofia, Storia del cristianesimo in cui mi sono laureato con 110 e lode» scrive online il segretario dei democratici. Invitando Mariastella Gelmini a fare la stessa cosa. Il guanto di sfida Bersani lo aveva lanciato al ministro già nell'aula di Montecitorio: «Pubblicherò su Internet tutti i voti di tutti i miei esami del mio corso di laurea. Mi aspetto che il ministro faccia altrettanto, completo di "giro turistico" a Reggio Calabria». E siamo tutti in trepidante attesa dei voti del Ministro.[4] Medaglia d'argento ad Emilio Fede, che dall'alto dei suoi anni, forse troppi, afferma dapprima che “ una società civile dovrebbe chiudere Facebook, che è una realtà delinquenziale all'origine di episodi drammatici” [5] e poi,riferendosi agli studenti che hanno tentato di entrare a Palazzo Madama, che “un popolo civile, quale noi siamo, dovrebbe intervenire e menarli perchè questi capiscono solo di essere menati”.[6] Le affermazioni di Fede sarebbero state le vincitrici di questa gara circense dell'idiozia se non vi fosse un servizio che ha meritato di diritto la medaglia d'oro: Il Tg1 delle 20 di mercoledì ha mandato in onda le immagini degli studenti in piazza. Ma la parte del video che fa vedere gli scontri (quello di maggiore impatto visivo) è in realtà un filmato dello scorso 7 luglio, quando gli aquilani protestarono a Roma. Il tg ha rettificato e si è scusato, nell'edizione del giorno dopo, per l'errore. Ma un dubbio aleggia nell'aria....se non fossero stati scoperti avrebbero fatto la rettifica?[7]


LA DISTRUZIONE DELL’ISTRUZIONE

Semplice guida per portare al collasso il sistema universitario italiano

DALL'ITALIA - Le manifestazioni di questi ultimi giorni, coincidenti con la conclusione dell’iter per l’approvazione in Senato della cosiddetta “riforma Gelmini”, vedono studenti, ricercatori e professori associati protestare contro il disegno di legge. In realtà la protesta è indirizzata verso una serie di provvedimenti posti in atto da questo governo Berlusconi che, essendo diluiti nel tempo, potrebbero apparire sconnessi ed invece, visti nel loro complesso, sembrano delineare una strategia ben precisa di destabilizzazione della Scuola e dell’Università Pubblica.
Procediamo con ordine. I tagli al settore universitario iniziano già negli anni ’90 per porre fine ad un lungo periodo di sprechi che hanno portato a proliferazione di corsi di studio, facoltà, atenei slegati da qualsiasi esigenza pubblica. E’ con questa legislatura, tuttavia, che iniziano a profilarsi politiche che paiono minare direttamente alle fondamenta del sistema universitario: l’atto fondativo di questa strategia è il DL 112 approvato il 25 giugno 2008 (che interviene sulla didattica e la ricerca degli atenei italiani) che, inserito nella “politica dei tagli” inaugurata dal ministro Giulio Tremonti, verrà approvato il 6 Agosto ed il 21 diverrà effettivo: si tratta della famigerata legge 133/08. Forse chi legge l’ha già dimenticato, ma la sua approvazione fu ampiamente contestata dagli studenti e dagli addetti ai lavori. [1] E’ da notare che si tratta di un Decreto Legge che, com’è noto, è un provvedimento che appartiene alla cosiddetta legislazione d’urgenza, non sottoposta all’iter promulgativo delle leggi “tradizionali” (l’attuale governo ne ha largamente fatto uso per evitare il lungo dibattito parlamentare): in realtà è una “riforma mascherata” dagli effetti dirompenti.[2] Il decreto prevede il taglio del Fondo di Funzionamento Ordinario (FFO) per 1500 milioni di euro da diluire dal 2009 al 2013, oltre al blocco sostanziale del turn over: per il 2009 si prevedeva una nuova assunzione per ogni 10 docenti che sarebbero andati in pensione, una su 5 per il 2010 e il 2011, una su 2 per il 2012. Una scelta che, seppure di carattere provvisorio, pare assurda se si considera che, secondo i dati Ocse, in Italia c’è un solo docente per 20,4 studenti, a fronte di uno ogni 16,4 in Inghilterra, 17 in Francia, 12,4 in Germania. La lotta per la sopravvivenza degli Atenei si fa ancora più difficile dopo la Legge 1/2009, in cui viene previsto che per le Università in cui Il rapporto tra spese di personale e FFO superi il 90% vi sia il blocco totale delle assunzioni e del reclutamento: inutile aggiungere che questo comporterebbe la completa paralisi delle attività di didattica e di ricerca. Per fare un esempio, secondo una proiezione della FLC CGIL dell’anno scorso, l’Università di Bari giungerebbe ad un pericoloso 89,1% nel 2011, ma ben più grave sarebbe la soluzione del Politecnico del capoluogo pugliese che arriverebbe al 93,2% sempre dall’anno prossimo. [4] I tagli sono stati confermati anche dal DL 78 (ancora un decreto legge) che rientra nella Manovra Economica approvata il 31 maggio 2010; ma non basta: lo stesso decreto prevede il congelamento dello stipendio percepito nel 2010 e il blocco della contrattazione collettiva nei i prossimi 3 anni, per tutto il personale (comprendendo anche i giovani ricercatori, in questo modo gravemente penalizzati sul futuro della loro carriera).
Tutti questi provvedimenti si inseriscono in un contesto che vede l’Italia investire nella ricerca (ossia nel proprio futuro) soltanto l’1,3% del Pil con quota pubblica pari allo 0,8% (secondo i dati forniti da Mariagrazia Dotoli del coordinamento ricercatori del Politecnico di Bari); secondo i dati Ocse, inoltre, la spesa pubblica annuale per studente è di 9.400 dollari per l’Inghilterra, 10.200 per la Germania, 9.300 per la Francia e di soli 5.400 per l’Italia. In questo quadro, tutt’altro che roseo, interviene la “riforma Gelmini” che, come pare chiaro, non è che l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. [4]
La situazione pare dunque davvero drammatica. Se la riforma fosse approvata, l’università italiana sarebbe praticamente destinata al collasso: saremo costretti a ripensare completamente alla nostra idea di “Ateneo”, magari per sostituirla con quella di “Fondazione”, tanto cara al ministro Tremonti, con l’intervento di sponsor privati (chi legge immagini cosa questo possa significare nel nostro Sud…). Se la riforma non dovesse passare (ipotesi comunque abbastanza remota, avendo ottenuto anche l'appoggio di Fli) il mondo universitario si avvierebbe verso un lento declino, una sofferta agonia, in una sorta di selezione darwiniana in cui gli Atenei più “deboli” decadranno uno alla volta (anche qui, chi legge immagini quali saranno i primi a cedere). Non sono ipotesi, ma previsioni concrete a breve termine. Il rettore del Politecnico di Bari, Nicola Costantino, in occasione dell’Assemblea d’Ateneo del 18 ottobre, ha paventato il commissariamento” del Politecnico stesso, dichiarando:
Se il finanziamento pubblico del Politecnico non sarà riportato almeno ai livelli fisiologici di sopravvivenza, proporrò al Consiglio d’Amministrazione ed al Senato Accademico di rimettere i nostri mandati al Ministro, nella serena consapevolezza che nessun commissario ministeriale potrà ridurre la nostra spesa e razionalizzare il nostro bilancio più di quanto l’attuale Amministrazione, con grande spirito di responsabilità e di sacrificio, non abbia già fatto. […] Dobbiamo tutti essere consapevoli che, nell’attuale congiuntura, è in gioco la sopravvivenza stessa del nostro Politecnico, almeno nella sua attuale configurazione. […] Potentati economici e politici hanno espliciti interessi a sacrificare il nostro ruolo di Ateneo d’eccellenza, ma aperto a tutte le classi sociali, a favore di un sistema classista, decisamente più orientato alle Università private ed all’emigrazione obbligata dei nostri studenti nei più ricchi e meglio finanziati atenei settentrionali.”
Oltre a questi gravissimi problemi, si aggiunge anche l’annosa questione dei ricercatori: la categoria dei ricercatori, nata negli anni ’80, nell’ultimo decennio si è fatta carico, aldilà del proprio ruolo, di attività didattica che spetterebbe invece ai professori ordinari e (in misura inferiore) ai professori associati. I motivi che hanno indotto i ricercatori ad accollarsi finora un compito non proprio, sono intuibili: l’amore per la cultura è certamente essenziale ma, a parere di chi scrive, a questo potrebbe essersi aggiunta la forte motivazione di compiacere gli ordinari, per ricavarne speranze di futura carriera accademica. Se i “ricercatori” hanno questo nome, è evidente che dovrebbero occuparsi di “ricerca” e non di didattica: appare strana dunque la disponibilità che, come annuncia il rettore del Politecnico di Bari, questi ultimi avrebbero offerto nell’ “essere disposti a coprire i corsi del secondo semestre, anche modificando gli orari di lavoro”. Se i ricercatori continuassero a rifiutare incarichi aldilà delle proprie competenze, probabilmente sarebbero gli ordinari a protestare per l’impossibilità di coprire un numero spropositato di corsi (chissà che effetto farebbe vedere migliaia di professoroni in giacca e cravatta a tirare uova davanti al Senato?). D’altronde anche i professori associati sarebbero penalizzati da questa situazione che limita fortemente i loro possibili avanzamenti nella carriera accademica: anche in questo caso i professori ordinari sembrano favoriti da questa “riforma”, poiché potrebbero continuare a gestire gli Atenei senza l’intrusione di “nuovi” soggetti. Appare, a questo punto, assurda la dichiarazione del ministro Gelmini che il 26 Novembre esortava gli studenti italiani con questo invito: : “Ragazzi, non fatevi strumentalizzare dai baroni e dai centri sociali”, sottolineando che la protesta avrebbe fatto il gioco dei “baroni”. A parte il surrealismo dell’accostamento tra “baroni” e “centri sociali” (pare di vederlo il professorone che, acconciato di tutto punto, va a fumarsi uno spinello col collettivo, discutendo di anarchia e rivoluzioni), è difficile pensare come questa riforma possa contrastare quei grumi di potere che si addensano intorno a certi professori ordinari. Ne sono decisamente consapevoli coloro che protestano: il rappresentante dei ricercatori presso il consiglio d’amministrazione dell'Ateneo di Genova, Luca Guzzetti, ha affermato “La Gelmini dice che la riforma è contro i baroni, invece li favorisce perché ricercatori e associati spariranno”. [7]






sabato 20 novembre 2010

LA DISFIDA DI TRANI

Un invito alla città per riappropriarsi della sua Storia
DA TRANI – Il 17 novembre 2010 il sindaco di Barletta Nicola Maffei invia una lettera al presidente della Provincia Barletta-Andria-Trani, Francesco Ventola, ed al sindaco di Trani, Giuseppe Tarantini, per sollecitarli ad intervenire “per sottrarre il Campo della Disfida, sito in territorio comunale di Trani, dalla situazione di degrado in cui versa attualmente”. [1] Eh si, perché (sono in pochi a saperlo o a ricordarselo ancora, se mai l’hanno saputo) che il territorio in cui l’epico avvenimento ebbe luogo è situato proprio a Trani e al territorio di Trani apparteneva anche nel lontano 1503 quando le armi italiane e francesi giunsero a “singolar tenzone”.
Ora che qualche smemorato tranese ha ritrovato la memoria, sarebbe forse opportuno rinverdire anche quella del sindaco che più volte si è fatto vanto di essere un cultore della Storia locale, ma non sembra essere stato molto attento a valorizzare un evento noto in tutto il mondo, storicamente associato alla città di Barletta (da D’Azeglio in poi, questo va riconosciuto), ma che i fatti dimostrano essere avvenuto a Trani (e non è un caso, come si leggerà nel seguito del post).
Se non per amore della cultura, non fosse altro che per un briciolo di orgoglio cittadino, forse sarebbe opportuno intervenire celermente per bonificare e valorizzare il Campo della Disfida: e di lavoro da fare ce ne sarebbe un bel po’. La lettera di Maffei segue, infatti, alla pubblicazione, il 16 novembre, di un articolo di Gianpaolo Balsamo su “La Gazzetta del Mezzogiorno” in cui si denuncia lo stato di completo abbandono in cui versa il sito (nella contrada S. Elia) e il monumento che lì fu posto a memoria dell’evento. Nell’articolo si legge:
Difficile è, pertanto, individuarlo, più difficile arrivarci, visto che ad indicare la presenza del «tempietto» ci sono soltanto due basse colonne in pietra, poste all’inizio di un vialetto e riportanti una iscrizione diventata ormai quasi illeggibile. Poi, al termine dello stretto camminamento in asfalto, buio e dissestato (impraticabile se piove), si erge l’antico monumento in bugnato, corroso dal trascorrere degli anni e dagli agenti atmosferici. […]Ai piedi del monumento, rifiuti di ogni genere (bottiglie di birra, di plastica, fazzoletti, cartoni di pizze, ecc) che conferiscono al luogo un aspetto di degrado assoluto. «Qui la sera viene chi spaccia la droga oppure vengono a bere», ci dice un agricoltore che, incuriosito dalla nostra presenza, si avvicina: «Siete del Comune? È’ uno schifo. Non vengono neanche a pulire. Ogni tanto siamo noi a togliere i rifiuti che gli altri lasciano»”. [2]
Come si è detto, dunque, il monumento sorge in territorio tranese perché è a Trani che si svolse la Disfida, anzi a Trani si svolserole” Disfide. Tuffiamoci nei primi anni del XVI secolo: il Regno di Napoli (in pratica l’intero sud Italia) viene spartito tra Francesi e Aragonesi (Spagnoli), ma i disaccordi tra le forze occupanti portano ad una serie di screzi e di piccoli e grandi conflitti. [3] In seguito ad una sfida del cavaliere francese de Bayard nei confronti dello spagnolo don Alfonso Sotomayor, la “prima disfida” ha luogo proprio nel campo di contrada S. Elia (per la cronaca don Alfonso quel giorno ci lascia le penne). Gli Spagnoli non si danno per vinti e il 20 settembre 1502 si giunge ad una “seconda disfida”: questa volta si combatte in un recinto sotto le mura di Trani (forse nei pressi del fossato del castello), ma la contesa tra 11 Francesi e 11 Spagnoli, sotto gli occhi giudicanti del governatore Gradenigo (a cui a Trani è intitolata una piazza) e di alcuni nobili tranesi, dura diverse ore e al calar del sole se ne decreta la fine senza vincitori né vinti. Si arriva così alla “terza disfida” (quella famosa!): Consalvo de Cordova, il generale spagnolo che aveva occupato Barletta con le sue truppe, ha la brillante idea di invitare a cena, allo stesso banchetto, alcuni cavalieri spagnoli, italiani e anche (per la par condicio, naturalmente) qualche prigioniero francese. Uno di questi, il capitano La Motte, si rende protagonista di un insulto ai cavalieri italiani e getta il guanto della sfida. La sfida viene raccolta e, alla mattina del 13 Febbraio 1503, 13 cavalieri italiani (nessuno di questi è barlettano né tranese) e altrettanti francesi si danno appuntamento al solito posto: quel bel terreno di contrada S. Elia a Trani! L’esito dello scontro è noto a tutti. La scelta di combattere le tre disfide a Trani naturalmente non è casuale: innanzitutto la città era più o meno a metà strada tra Barletta, dove erano stanziati gli Spagnoli, e Ruvo, dove erano alloggiati i Francesi; inoltre, ancor più determinante nella scelta del luogo fu la considerazione che Trani era all’epoca neutrale nello scontro poiché non sottoposta né al dominio spagnolo né a quello francese, bensì a quello della Serenissima (la Repubblica di Venezia). In definitiva, la Disfida non poteva che svolgersi a Trani! [4].
Ad imperitura memoria dell’evento (si fa per dire) il prefetto di Bari e di Otranto, don Ferrante Caracciolo, fa erigere nel 1583 un monumento che però viene pesantemente danneggiato nel 1806 da alcuni soldati francesi. Cinquanta anni dopo su pressione dello storico Giovanni Jatta, viene ricostruito con l’aggiunta di un’epigrafe, dettata dal nostro concittadino più illustre, il tranese Giovanni Bovio, che recita così:
 “XIII Febbraio MDIII in equo certame
contro tredici francesi qui
tredici di ogni terra italiana
nell’unità nell’amore antico
e tra due invasori provarono
che dove l’animo sovrasti la fortuna
gli individui e le nazioni risorgono”.
Se nessuno l’ha portata via, dovrebbe essere ancora lì. [5]
Parole vane e vano pure il monumento se oggi quasi nessuno a Trani si ricorda che qui si combatterono quelle battaglie che certamente hanno contribuito alla fama di Barletta (nel 1903 il monumento fu meta di pellegrinaggio, vedi foto). Ma l’invito a ricordare le circostanze di quegli eventi non deve sembrare una mera questione campanilistica (non ne abbiamo davvero bisogno di questi tempi), quanto piuttosto un’esortazione alla cittadinanza a riappropriarsi della propria Storia, della propria cultura: inutile ovviamente aggiungere che opportune operazioni di valorizzazione dell’evento gioverebbe anche al turismo e quindi alle nostre tasche. Eppure nulla si è mosso a Trani in tal senso: e pensare che nell’ottobre 1931 l’Avv. Michele Assunto Gioia di Trani pubblicava un libretto dal titoloIl luogo del duello dei tredici nel giorno del 13 febbraio 1503” in cui sosteneva che il Monumento si sarebbe dovuto elevare in Trani e non in Barletta, in quanto il combattimento si svolse in una masseria del Capitolo di Trani. Il Monumento Nazionale della Disfida verrà costruito a Barletta nel 1980. [6]
Forse sarebbe ora che anche a Trani ci si attivasse per qualcosa che commemori quei fatti: una via, una statua, una piazza. Pare già di sentirla nelle voci dei tranesi: Piazza della Disfida di Trani, anzi no, Piazza delle Disfide di Trani …

[4] R. Russo, “La Disfida di Barletta”, Ed. Rotas, 1994

PIAZZA DELLA LOGGIA: LA STRAGE IMPUNITA

A 36 anni di distanza non c’è ancora una verità giudiziaria ma c’è lavoro per gli storici
DALL’ITALIA – In Italia certe vicende “oscure” del passato recente sembrano destinate a restare tali, oppure (e questo è ancora peggio!) ad essere completamente rimosse dalla memoria dei cittadini, con la complicità di una buona fetta della politica e del mondo dell’informazione. Una di queste vicende è quella della strage del 1974 di Piazza della Loggia a Brescia, che qualche giorno fa ha visto concludersi il primo grado dell’ennesimo processo  (l’ultimo?) su quel doloroso episodio. La sentenza: assoluzione per insufficienza di prove. Assoluzione per Delfo Zorzi, ex membro di Ordine Nuovo (oggi imprenditore in Giappone), per Carlo Maria Maggi, ex leader di Ordine Nuovo, per Pino Rauti, fondatore dell’Msi e di Ordine Nuovo. Assoluzione anche per Maurizio Tramonte, l’uomo che stava dietro l’enigmatica “fonte Tritone”, l’informatore di una serie di documenti trovati negli archivi del Sid (ex Sismi) dal giudice Guido Salvini che hanno portato all’apertura del nuovo processo nel 1993. Assoluzione anche per l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino (già condannato, per altre vicende, a condannato a 3 anni e 4 mesi per truffa; il suo nome peraltro compare, seppur indirettamente, nel caso Moro e nella strage di Bologna[6]), che quel 28 Maggio 1974 era in Sardegna, avendo lasciato solo un vicebrigadiere alla questura (mentre tutti gli altri carabinieri erano ad un corso di formazione); fu lui a condurre le prime indagini e, secondo l’accusa, a ordire i primi depistaggi. [1] [2] [3]
Le reazioni, com’è comprensibile, sono piene di sdegno e di delusione; il presidente dell’Unione Familiari Vittime per Stragi, Paolo Bolognesi ha dichiarato: “Tutto ciò e' incivile e vergognoso. Ancora una strage impunita al termine di un processo che ha assolto tutti. […] In questo triste momento la ricerca della verità è stata umiliata”. [4] Ma c’è anche spazio per la denuncia; Manlio Milani, il presidente dell’Associazione Familiari delle Vittime della Strage di Piazza della Loggia ha dichiarato:  In questo processo le cose che mi hanno colpito sono state le reticenze, le falsità che hanno raccontato. […] Stiamo ancora combattendo con un Parlamento che ti dice che sull’applicazione della legge sul segreto di Stato, a quattro anni dalla sua approvazione non ci sono ancora i regolamenti applicativi. Non c’è volontà di affrontare quegli anni.” [5]
A questo punto, crediamo sia opportuno ricostruire il contesto in cui ebbe luogo quella triste vicenda. Siamo nel Maggio del 1974, come si è detto, pochi giorni dopo il referendum abrogativo sul divorzio che aveva segnato la sconfitta della DC e del fronte del “si” e la vittoria della sinistra; in quei mesi, si riapre la stagione delle stragi, una nuova strategia del terrore, di quelle che si riaffacciano periodicamente nella recente storia d’Italia (vedi il post http://tranitaliamondo.blogspot.com/2010/10/la-storia-oscura-della-repubblica.html ): alle 10.12 del 28 Maggio una bomba esplode in Piazza della Loggia, mentre è in corso una manifestazione antifascista (otto morti e novantaquattro feriti); il 4 Agosto un altro ordigno fa esplodere il treno Italicus tra Firenze e Bologna (dodici morti e quarantaquattro feriti). Le responsabilità delle stragi vengono indirizzate verso i movimenti neofascisti, e forse non è un caso; in una storica intervista a Massimo Fini del a Natale del 1974 Pier Paolo Pasolini afferma: “Prendiamo le piste nere. lo ho un'idea, magari un po' romanzesca, ma credo giusta, della cosa. Il romanzo è questo. Gli uomini di potere, e potrei addirittura fare nomi senza paura di sbagliarmi - comunque alcuni degli uomini che ci governano da trent'anni - hanno prima gestito la strategia della tensione a carattere anticomunista, poi, passata la preoccupazione dell'eversione del '68 e del pericolo comunista immediato, le stesse identiche persone hanno gestito la strategia della tensione antifascista”. Meno di un anno dopo, com’è noto, lo scrittore sarebbe stato ammazzato in circostanze che dire “sospette” sarebbe un eufemismo. Ma questa è un’altra storia. [6]
Restiamo sulla vicenda di Piazza della Loggia; prendiamo i processi, per esempio:  nel 1979 la Corte d’Assise di Brescia condanna il neofascista Ermanno Buzzi (ucciso in carcere due anni dopo) e Angiolino Papa; nel 1982 tutti gli imputati sono assolti con formula piena; nel 1983 la Cassazione annulla questa sentenza e nel 1985 si svolge nuovo processo a Venezia che si conclude nuovamente con un’assoluzione (confermata dalla Cassazione nel 1987); nel 1987 approda in Corte d’Assise un’altra inchiesta che porta all’assoluzione degli accusati (poi confermata in Appello e in Cassazione); si giunge così all’indagine del 1993 e all’assoluzione di qualche giorno fa. [6]
La verità giudiziaria dunque dovrà attendere ancora chissà quanti anni ma, dal punto di vista storico, il quadro che si delinea a 36 anni di distanza, come scrive Michele Brambilla su “La Stampa” [7], è “un quadro fosco di connivenze e intrecci inconfessabili [che] sembra fissato per essere consegnato, se non ai giudici, agli storici. La formula scelta ieri dalla Corte d’assise per assolvere equivale alla vecchia insufficienza di prove. Vuol dire che le prove non bastano, ma almeno in parte ci sono. Non le prove delle responsabilità personali degli imputati; ma quelle del folle agitarsi di un mix di vecchi nostalgici del fascismo, di giovani ed esaltati estremisti, di spie, di ufficiali infedeli.” Il già citato Paolo Bolognesi, a tal proposito, aggiungeva che quanto emerso dal dibattimento “era molto interessante” e che "sono uscite cose utili non solo per Brescia ma anche per Bologna e per altre stragi"; infine concludeva amaramente che "In Italia ci sono state 14 stragi terroristiche e in nessuna si è arrivati ai mandanti". [8]
Impossibile non condividere l’amarezza di Bolognesi, non solo per la mancanza di colpevoli da assicurare alla giustizia, ma soprattutto per la mancanza in Italia di una cultura condivisa sulla storia di quegli anni, pur essendo passati diversi lustri da quegli episodi. Col passare del tempo, su queste pagine sanguinose, piuttosto che giungere l’acquisizione di una visione lucida e distaccata, sta piombando una pesante coltre di oblio.

[6] A. Baldoni, S. Provvisionato, “Anni di Piombo”, Sperling & Kupfer, 2009

venerdì 19 novembre 2010

CONCORSO ALLA PROVINCIA BAT… POLEMICHE A TEMPO INDETERMINATO

Si scatena la bufera: denunciate irregolarità e poca trasparenza

DA TRANI - Lo scorso 7 settembre è stato indetto il primo concorso pubblico dalla nuova Provincia di Barletta-Andria-Trani, per la copertura di 23 posti con categoria e professionalità diverse. [1] Questo, tanto per cambiare, è stato accompagnato da mille polemiche, fomentate dai partiti d’opposizione presenti in Consiglio Provinciale.
Ma andiamo con ordine. Pochi giorni dopo il termine ultimo per la presentazione delle domande di accesso alle prove selettive, alcuni organi di stampa avevano già denunciato la scarsa pubblicità legata agli avvisi pubblici, con i quali venivano presentati i bandi per l’accesso ai test. Puntuale era arrivata la replica del Consigliere Provinciale con delega alle Risorse Umane Pietro d’Addato, il quale affermava che le procedure di pubblicità erano state attuate secondo la Legge e ricordava come "già nello scorso mese di luglio il nostro ente diramò una nota stampa con la quale si anticipavano le imminenti procedure concorsuali". [2]
La bufera scoppia pochi giorni dopo, quando il gruppo consigliare di opposizione, guidato da Andrea Patruno del PD e Bernardo Lodispoto de I Socialisti, e di cui fanno parte altri quattro consiglieri, ha indetto una conferenza stampa per denunciare alcune irregolarità circa la preparazione e lo svolgimento dei test. Il concorso,iniziato il 3 novembre e terminato l’8 dello stesso mese, ha visto la partecipazione di 7.425 iscritti, di cui solo 23, entro il 31 dicembre prossimo, saranno assunti dalla Provincia a tempo indeterminato. E’ proprio sul brevissimo tempo che intercorre tra la pubblicazione del bando e la conclusione del concorso, giustificato dalla Direzione Generale dal fatto che oltre la data del 31/12 esso verrebbe vanificato dalla Legge Brunetta, che i partiti di opposizione puntano il dito. In particolare il gruppo consigliare critica sia l’organizzazione delle prove sia la modalità di svolgimento.
Innanzitutto è stato definito esiguo il tempo dedicato alla individuazione, tramite bando di gara, della società adibita al controllo e alla esecuzione delle prove. Questo non avrebbe garantito una più ampia partecipazione e non avrebbe permesso di confrontare un numero maggiore di offerte, per poter poi scegliere quella più vantaggiosa.[3] Il consigliere Patruno spiega, a corrieredelmezzogiorno.it, come la società scelta, la Cnipec di Genova, sia stata selezionata tramite una gara con il sistema dell’offerta economica più vantaggiosa, il sistema in teoria migliore ("attribuisce il 65% del punteggio ai requisiti tecnici e non economici proposti"); ma ciò che viene criticato è il fatto che le cose non si siano svolte in questo modo, in quanto ad esempio "al criterio della trasparenza è stato attribuito solo un quinto dei punti". Inoltre l’azienda ha messo a disposizione un numero di addetti fisso, non proporzionale al numero dei candidati da seguire durante i test. [4]
E se è vero che, come si evince da uno studio particolareggiato svolto dal gruppo suddetto, alla ditta assegnataria sia stato dato un punteggio inferiore alla seconda offerente, tutto ciò è davvero grave e potrebbe invalidare il concorso stesso. Oltre alla poca trasparenza per quanto riguarda l’assegnazione del compito di organizzare le selezioni, sono state fortemente criticate le modalità di preselezione: infatti dei 7.425 iscritti solo un numero di candidati pari a 10 volte i posti a disposizione saranno ammessi alle prove successive e determinanti per il risultato finale(due scritte e una orale). Un criterio ritenuto assurdo dal centrosinistra, anche alla luce del fatto che la Provincia ha incassato 76.700 € dalle quote di iscrizione al concorso (pari a 10,33 € per ogni domanda presentata). [3] [4] Ma non è finita qui: secondo l’opposizione, parte dei 30 quesiti sottoposti ai candidati avrebbero potuto essere resi pubblici e si sarebbe dovuto garantire un più lungo periodo di preparazione alla prova. Infatti, sempre secondo la minoranza, molti Enti pubblici adottano, per i concorsi, procedure di garanzia, trasparenza e correttezza. [3]
Alla luce di tutte queste presunte irregolarità il gruppo consigliare ha chiesto la sospensione della preselezione e la rivisitazione della procedura di gara attuata, dando voce alle "numerose e reiterate proteste di ragazze e ragazzi esclusi a vario titolo dai concorsi pubblici indetti dalla Provincia". Anche per questo le opposizioni hanno intrapreso una battaglia legale, tramite una class action, contro la Provincia; una azione collettiva completamente gratuita, per tutelare la trasparenza e la correttezza nei concorsi pubblici. I consiglieri hanno invitato, nei giorni scorsi, tutti coloro che si ritengono coinvolti a sottoscrivere, con la massima tempestività dati i tempi molto ridotti, il ricorso prodotto dinanzi al Tar. L’opposizione inoltre si farà carico di ogni spesa legale. [5]
Ovviamente, dopo tutte queste polemiche, sono arrivate anche le risposte e i chiarimenti da parte della Provincia. A parlare è stato il già citato consigliere d’Addato, il quale, oltre a criticare l’opposizione, rea di impedire l’assunzione del personale di cui il nuovo Ente ha bisogno, afferma come tutte le procedure siano state eseguite secondo la legge. A proposito della trasparenza, sottolinea come i risultati della preselezione siano stati pubblicati in tempo reale, permettendo ai candidati di controllare on-line gli elaborati e verificando eventuali disfunzioni nelle correzioni. Inoltre, a chi critica la mancanza sul sito della Provincia BAT di un link per collegarsi al sito della società gestente la selezione, risponde come esso sia presente già dall’11 novembre e accessibile a tutti. Infine si chiede "Cosa avrebbe dovuto fare di più nell’interesse collettivo una Pubblica Amministrazione in una procedura comunque molto complessa?". [6]
In tutto questo polverone ovviamente a rimetterci sono i giovani candidati partecipanti al concorso: in un periodo in cui per i ragazzi è estremamente difficile entrare nel mondo del lavoro, tutte queste polemiche sicuramente non fanno bene. Se aggiungiamo il fatto di come siano rari concorsi del genere negli enti pubblici, soprattutto qui al sud, ci si chiede come i giovani oggigiorno possano avere fiducia sul proprio futuro. In questo caso sarebbe importante raggiungere un accordo, scongiurando ulteriori danni a chi ha partecipato alla selezione e a chi si è impegnato per superarla. Anche perché a differenza di precedenti concorsi, saliti agli onori della cronaca per i deprecabili comportamenti di parte dei candidati (basti pensare alle prove di ammissione alle facoltà di medicina all’Università di Bari di alcuni anni fa), in questo eventuali irregolarità sarebbero da attribuire unicamente a chi lo ha organizzato.