sabato 8 gennaio 2011

CASO MIOTTO: LE “BUGIE” (?) DEL MINISTRO

La “strana” successione di versioni sulla dinamica dell’uccisione del soldato italiano in Afghanistan
DALL’ITALIA E DAL MONDO - Continua a mietere le sue vittime la “guerra” in Afghanistan. Perché di “guerra” si tratta: inutile continuare ad addolcire una verità che non ci piace, nascondendo la cruda realtà dietro espressioni più o meno rassicuranti, come “missione di pace”. L’ultimo morto ammazzato è il 35esimo soldato italiano ucciso in 9 lunghi anni di conflitto armato, il 14mo ucciso nel solo 2010, l’anno più nero per i militari italiani in Afghanistan (altro che exit strategy!). Si chiamava Matteo Miotto, originario di Thiene (Vicenza), aveva solo 24 anni ed apparteneva al 7mo reggimento alpini di Belluno attivo nel Gulistan, una regione nell’Afghanistan occidentale. Ciò che si vuole approfondire in questo post è la “strana” successione di versioni e smentite sulla dinamica dell’uccisione del soldato italiano, rese nei giorni scorsi dal ministro della Difesa Ignazio La Russa. Quella che segue è una semplice cronologia delle dichiarazioni date alla stampa, che mettono in luce evidenti contraddizioni e pongono interrogativi.
31 dicembre 2010
E’ il giorno dell’uccisione di Matteo. Il ministro dichiara che il soldato "era di guardia a una torretta a sud della zona sotto controllo italiano, quando un colpo di fucile sparato da lontano da un cecchino lo ha colpito a un fianco, proprio in una parte del corpo non protetta. […] Oltre che una tragedia è stato un fatto di grande sfortuna. Il colpo è penetrato e ha leso organi vitali.” La descrizione della dinamica lascia perplesso il presidente dell'Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze Armate (Anavafaf), Falco Accame: "La garitta è una struttura protetta (o almeno deve essere tale) e non si capisce quindi come un colpo di un cecchino possa esservi penetrato e in secondo luogo perché il giubbotto antiproiettile deve coprire le parti vitali del corpo”. [1]
1 gennaio 2011
Il padre di Matteo, Francesco Miotto, chiede ulteriori accertamenti per capire come sia effettivamente stato ucciso il figlio: "E' legittimo chiedere cosa sia successo. Ieri mi hanno chiamato i suoi comandanti dall'Afghanistan dicendo che era stato colpito ad una spalla, poi adesso si parla di un colpo che l'avrebbe raggiunto al fianco. I dubbi, come si vede, non li ho avanzati io, ci sono delle versioni che non sono concordanti". [2]
2 gennaio 2011
Viene eseguita l’autopsia sul corpo Paolo Arbarello, direttore dell'istituto di medicina legale, dichiara: “E' stata una morte immediata. L'equipaggiamento era assolutamente adeguato, c'erano tutte le protezioni, è stata una circostanza assolutamente sfortunata". Dall’autopsia emerge che Matteo è stato colpito fra il collo e la spalla, un punto in cui era non era coperto dal giubbotto antiproiettile. [3]
5 gennaio 2011
E’ il giorno della svolta nella descrizione della dinamica dell’uccisione. Il ministro La Russa dichiara: "E' stato ucciso da un gruppo di insorti durante un vero e proprio scontro a fuoco e non da un cecchino isolato, […] ma da un gruppo di terroristi, di 'insurgent', non so quanti, che avevano attaccato l'avamposto. […] All'attacco ha risposto chi era di guardia, con armi leggere e altri interventi: a questi si è aggiunto anche Miotto. […] Erano in due sulla torretta e sparavano a turno: uno sparava e l'altro si abbassava. Proprio mentre Matteo si stava abbassando è stato colpito. […] Subito dopo è stato richiesto anche un intervento di un aereo americano, che è riuscito a disperdere gli insurgent". Lo scontro "è durato parecchie decine di minuti". [4]
6 Gennaio 2011
A chi fa notare al ministro che la sua versione è cambiata radicalmente, il ministro spiega che si tratterebbe solo di un’integrazione. “Ho ricevuto subito la fotografia della fase finale e cioè che un cecchino ha ucciso Miotto che si trovava sulla garitta. E' tutto vero, ma non era stata fornita neanche a me quella parte della notizia secondo cui questo evento si inseriva nell'ambito di uno scambio di colpi durato diversi minuti”. Pur ammettendo che le prime informazioni fornite fossero corrette (e non lo erano, almeno relativamente al punto in cui Matteo era stato colpito), resterebbe da spiegare perché al ministro è stata offerta una versione incompleta; il ministro allora aggiunge: “Non è stato ritenuto di dovermi comunicare questa parte della notizia, nelle prime ore. Mi sono arrabbiato con i militari che non me l'hanno detto e quando, il 4 pomeriggio, mi è stata fornita anche la parte che c'era stato un conflitto a fuoco, prima di rendere noto il tutto ho voluto aspettare ieri, il 5, per parlare personalmente con il generale Bellacicco, il comandante del contingente. […] Io non voglio accusare qualcuno, ma voglio ribadire che la mia 'dottrina', chiamiamola così, è quella della massima trasparenza”. [5]
Falco Accame replica: "C'è voluta la presenza del ministro della Difesa in Afghanistan per sfatare la storiella del cecchino e del militare colpito in torretta, vittima del destino 'cinico e baro'", dice. "Perché agli italiani è stata raccontata questa frottola? […] Perché gli italiani non dovevano sapere che vi era stato uno scontro a fuoco con i ribelli afgani?".
Ad aggiungere perplessità sulle dichiarazioni del ministro, il senatore Pd Ignazio Marino afferma: La dinamica dello scontro era nota fin dal rientro della salma del soldato in Italia il pomeriggio del 2 gennaio. Partecipando alla commemorazione dell'alpino alla camera ardente allestita all'ospedale militare del Celio a Roma, infatti, ho ascoltato la ricostruzione veritiera di quei momenti terribili, molto diversa dalla versione raccontata dai media e dalle fonti ufficiali”. Strano, dunque. Molto strano. [6]
7 gennaio 2011
Dopo le “accuse” del ministro ai militari, il generale Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore della Difesa, replica:  "Ci accusano di aver nascosto le notizie. Di aver fornito versioni diverse e contraddittorie dell'accaduto. E' falso. Abbiamo raccontato sempre la stessa successione degli eventi". Il ministro allora corregge il tiro: nega di essersi arrabbiato con i militari e afferma “ero arrabbiato con me stesso”, ma poi pare aggiungere un’altra allusione alla supposta reticenza dell’esercito quando chiede "ai militari di non avere remore a fornirmi notizie man mano che le hanno, altrimenti si puo' pensare che abbiamo remore a fotografare l'esatta situazione dei nostri militari in Afghanistan". [7]
Insomma, le ipotesi sono due: o al ministro sono state raccontate verità parziali (e in parte false) o il ministro stesso ha raccontato verità parziali (e in parte false). In entrambi i casi si sarebbe cercato di nascondere la ricostruzione esatta dell’uccisione di Matteo, ossia l’esistenza di un conflitto a fuoco (più tipico di una “guerra d’assedio” o “di trincea” che di una “missione di pace”). Perché? Si è trattato di errori nelle comunicazioni? E se la tempistica delle dichiarazioni fosse stata accuratamente studiata? Potrebbe esserci una strategia comunicativa volta a nascondere la gravità dell’accaduto per non turbare l’opinione pubblica? Va sottolineato, infatti, che le ricostruzioni “false” o “parziali” sono state rese per tutto il tempo che il fatto è stato sotto i riflettori dei media e in un periodo, come quello festivo, in cui si è più sensibili a certe tematiche. La verità completa è emersa solo 5 giorni dopo l’accaduto, a riflettori ormai spenti, quando non tutti i giornali e le tv si sono sentiti in dovere di rettificare o di dare alla rettifica la stessa importanza data alla prima versione dei fatti.




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