domenica 23 gennaio 2011

TUNISIA: STORIE DI MODERNA COLONIZZAZIONE

La determinante influenza delle democrazie occidentali sul regime tunisino

DAL MONDO - In queste settimane le attenzioni del mondo sono tutte rivolte alle insurrezioni popolari nell’area nord-africana del Maghreb: prima in Algeria, poi in Tunisia la popolazione ha dato vita a violente sommosse, represse in molti casi con la forza. Ma, mentre in Algeria, dove il potere costituito è più forte, le rivolte non hanno portato alla caduta del governo, in Tunisia queste hanno avuto conseguenze ben più clamorose. Il regime del presidente Zine El Abidine Ben Ali, si è concluso dopo ben 24 anni, con la fuga in Arabia Saudita, di colui che nel 1987 depose l’ex presidente Bourghiba, per “senilità”, con un colpo di stato definito “medico” e che lascia ancora molti dubbi sul ruolo dei Paesi occidentali, e ancor di più della vicina Italia.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso della rivoluzione, che mai Ben Ali avrebbe potuto immaginare che accadesse, è stato il drammatico suicidio di un giovane ambulante della città di  Sidi Bouzid: il ragazzo era stato sorpreso a vendere per strada frutta e verdura senza licenza, ma con l’unico obiettivo di guadagnarsi da vivere. La polizia era intervenuta, anche in modo violento secondo alcune testimonianze, sequestrando la merce e il giovane si era recato al Municipio per la sua restituzione, senza però essere ascoltato: il danno economico e l’umiliazione lo avevano portato a cospargersi di benzina e a darsi fuoco. Questo drammatico evento e la preoccupazione per i rincari dei prezzi dei generi alimentari primari, come grano, farina, pane e olio hanno provocato i disordini, che hanno coinvolto prima le periferie e le città più piccole, per poi coinvolgere anche la capitale Tunisi. Le cronache parlano di decine e decine di morti e della fuga di Ben Alì, fino alla costituzione di un governo di unità nazionale di transizione, con a capo il Primo Ministro Mohamed Ghannouchi e al cui interno vi sono anche esponenti dell’opposizione: ma nonostante le prime misure intraprese dal nuovo governo per fermare la rivolta, come l’abolizione del Ministero dell’Informazione, reo di imprigionare e censurare i giornalisti contrari al regime,  e l’avvio dell’inchiesta contro la corruzione di alcuni esponenti politici, i disordini continuano. I promotori sono ancora convinti che il Paese sia comunque governato dalla “vecchia” classe politica e non vogliono che la rivolta sia loro “scippata”.  
Questo post non ha, tuttavia, l’obiettivo di raccontare le cronache attuali della rivolta (consultabili sulle vari testate giornalistiche), ma bensì esaminare il ruolo dei Paesi occidentali e, soprattutto dell’Italia, nella storia contemporanea della “giovane” Tunisia, indipendente dagli anni ’50. La nostra è la Nazione europea più vicina geograficamente all’area interessata e che, nella sua storia ha sempre avuto un rapporto stretto con essa. L’emigrazione italiana in Tunisia, sempre attiva sin dal X secolo, ha avuto il suo momento significativo tra il XIX e il XX secolo: essa ha dato vita a una delle più importanti comunità italiane nel mondo. Senza dubbio quest’ultima ha dato un grandissimo contributo allo sviluppo sociale e culturale di uno dei Paesi più “occidentali” del continente africano.
La Tunisia rappresenta, inoltre, una realtà molto complessa, multietnica e multiculturale: nella storia sul suo territorio sono transitati molti popoli. E’ lecito pensare che i disordini di questi giorni siano anche causa delle politiche del mondo occidentale? Ciò che è certo e che questo ha sempre guardato alla Tunisia come un Paese modello nel mondo arabo, uno Stato filo-occidentale ed economicamente stabile, nonostante l’assenza di democrazia e libertà. Più volte l’ex presidente Ben Alì è stato considerato un affidabile alleato, colui che è riuscito a compiere il passaggio dall’economia socialista a quella capitalista di stampo liberale. Da molti storici, proprio questo affidarsi a un tipo di economia prettamente occidentale, è stato considerato il più grande errore dell’era Ben Alì: tutto ciò ha provocato un altissimo tasso di disoccupazione nel Paese. Questa politica ha favorito l’insediamento in Tunisia di tantissime aziende straniere e ha fatto lievitare i loro investimenti. E la Tunisia cosa ha ricevuto in cambio? Ora nel Paese vi è un enorme numero di professionisti, ma quasi totale mancanza di manovali e tecnici. Questa discutibile politica economica tunisina non è riuscita a formare gente specializzata, per sfruttare al meglio le risorse di cui il Paese dispone. Oggi la Tunisia è la prima, tra le Nazioni africane, a pagare la crisi economica dell’occidente: ma questo è un caso tutt’altro che isolato. Questo è ciò che più dovrebbe preoccupare i Paesi che nella Tunisia hanno creduto in passato.
Tuttavia pur di preservare gli “affari” nel Paese nord-africano, esponenti politici di primo piano, hanno in molti casi sorpreso con le loro dichiarazioni. Alcuni esempi sono quelle di George Bush, il quale in occasione di una visita di Ben Alì alla Casa Bianca, definì il presidente tunisino un grande alleato contro il terrorismo e lo ringraziò per aver diffuso la libertà di stampa nel Paese (eppure secondo la classifica della libertà di stampa di Reporter sens frontière la Tunisia figura al 128° posto!). Nicolas Sarkozy giudicava nel 2008 l’atmosfera tunisina come una “atmosfera di libertà” (ma i numerosi casi di violazione dei diritti umani dimostra il contrario). Tuttavia, subito dopo la rivolta, gli occidentali hanno voltato le spalle a Ben Alì e, addirittura, la Francia ha rifiutato che il fuggitivo presidente atterrasse nel suo territorio (episodio collegato a quello riguardante il misterioso atterraggio di un velivolo tunisino nell’aeroporto di Cagliari). Con il pretesto di combattere il terrorismo, i Paesi più ricchi in molti casi hanno sostenuto regimi dispotici come quello di Ben Alì, finanziandoli economicamente, addestrandone le forze di sicurezza e sfruttandone le ricchezze.
E il ruolo dell’Italia? Il nostro Paese assunse un ruolo fondamentale nel golpe contro Bourghiba, che portò al potere Ben Alì. C’è da ricordare come l’Italia preleva il gas dall’Algeria e come il gasdotto passi nel territorio tunisino. Nel 1987 tra i due Paesi vicini stava per scoppiare una guerra che avrebbe potuto provocare serie difficoltà agli affari italiani nel Maghreb. L’Algeria minacciava di invadere la Tunisia, a causa di vecchie vertenze di confine e alla decisione di Bourghiba di giustiziare alcuni integralisti islamici algerini. Bisognava favorire la caduta del laico Bourghiba, per evitare che venissero chiusi i rubinetti del gasdotto algerino. Un ruolo fondamentale ebbero i maggiori esponenti politici italiani dell’epoca: Giulio Andreotti, Bettino Craxi e il capo del Sismi Fulvio Martini e l’Eni, nella figura dell’allora presidente, nonchè futuro senatore, Franco Reviglio. Da una intervista del 1999 de La Repubblica a Martini, trapelano situazioni che senza dubbio dimostrano come la tesi del coinvolgimento dell’Italia nelle vicende tunisine sia più che dimostrata. Secondo Martini, Craxi chiese a lui di recarsi in Algeria, con l’intento di evitare che la destabilizzazione tunisina provocasse un “colpo di testa” degli algerini: “L'Italia offriva aiuto all'Algeria, e in cambio chiedeva aiuto all'Algeria nel controllo del terrorismo in Italia". Da quel momento partì dall’Italia una enorme operazione di politica estera, che portò all’individuazione del generale Ben Alì come successore al potere. La proposta fu girata a tutti i servizi segreti coinvolti, da quelli francesi (vecchi colonizzatori della zona), a quelli tunisini, da quelli algerini, fino a tutti i capi al potere nei Paesi della zona nord-africana. Chi inizialmente si oppose fu proprio il Capo di Stato Maggiore francese, il quale invitò (senza poca arroganza) il generale Martini a stare lontano dalla Tunisia, ancora considerata territorio dell’Impero Francese. Ma il piano Craxi-Andreotti andò avanti, tra l’altro senza che gli americani fossero coinvolti. Portato Ben Alì al governo, dopo aver fatto firmare a 7 medici un referto che certificava l’incapacità del vecchio presidente dovuta a una “strana” grave malattia,  l’Italia finanziò politicamente ed economicamente il neo governo tunisino. I giornalisti all’epoca lo chiamarono “golpe costituzionale”. Ma se l’Italia ne guadagnò, per la Tunisia non fu altrettanto, poiché il regime di Ben Alì si sarebbe poi configurato come un regime autoritario e durevole nel tempo. E in tutto ciò ci ha guadagnato anche Craxi, vista la grande accoglienza riservatagli da Ben Alì nel periodo della latitanza, dopo la fuga dai PM di Mani Pulite. Tutto torna.  Le vicende attuali hanno non poco imbarazzato gli ex seguaci di Craxi, come Gianni De Michelis, che, a chi gli faceva notare come Ben Alì abbia instaurato in Tunisia una dittatura, ha risposto cinicamente “Non una dittatura, diciamo una democratura.
Insomma siamo di fronte a storie losche, a torbide missioni dei nostri servizi segreti sempre attenti ad asservire il potere, anche a costo di facilitare l’instaurarsi di regimi dittatoriali, pur di preservare affari in cambio di “piccoli” favori, come il gas a buon prezzo o, addirittura, la latitanza. Storie troppo scomode da raccontare, difficile da riportare alla luce, storie di un’epoca che vorremmo fosse finita, ma che dopo anni si ripresentano attraverso la drammatica rivolta di un popolo per troppi anni oppresso, a causa delle “particolari attenzioni” dell’occidente democratico.





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