domenica 27 marzo 2011

I POST DELLA SETTIMANA

CENTRO STORICO DI TRANI PATRIMONIO DELL'UNESCO: MA FATECI IL PIACERE!

Panoramica sui tanti problemi del centro storico, che qualcuno continua a ignorare

DA TRANI - In questi giorni si parla molto del centro storico tranese. Solo in questo week-end c’è stato il convegno organizzato da “Liberamente Democratici” sul presente e sul futuro del centro storico e l’apertura straordinaria di alcune delle chiese della nostra città da parte del FAI, anche se l’unico elemento di straordinarietà è che venga considerata straordinaria la loro apertura [1] [2]. Si susseguono dibattiti su come poter valorizzare un nucleo storico di straordinaria bellezza, ma nessun progetto serio sembra apparire all’orizzonte. Non ha fatto eccezione il convegno citato precedentemente. In questa sede, esperti di urbanistica e architettura hanno disquisito su questo tema senza arrivare a una conclusione concreta, se non quella della necessità di una partecipazione democratica della collettività ai progetti di valorizzazione del centro storico. Tuttavia, non c’è stato nessun cenno o riferimento allo scempio di piazza Longobardi, alla vergognosa apertura di un ristorante nella chiesa di Sant’Antuono e a molti altri temi che avrebbero meritato ben altra attenzione. Tra il pubblico (e gli stessi organizzatori) vi erano esponenti dei partiti di opposizione tranese, ma nessuno ha parlato, nessuno è intervenuto, forse erano più preoccupati a farsi vedere e a farsi riconoscere per la campagna elettorale ormai alle porte. Insomma, ennesima dimostrazione di come anche l’opposizione, pur avendo innumerevoli occasioni, ne stia sprecando troppe. E c’è chi insiste nel proporre il centro storico di Trani come patrimonio dell’Unesco. Ma nelle condizioni in cui versa attualmente, non crediamo proprio che esso possa minimamente essere considerato tale. Infatti, innumerevoli sono i problemi cui bisogna far fronte. Di alcuni di essi ne abbiamo già parlato in precedenti post, dedicandoci soprattutto alle piazze storiche. Purtroppo le nostre considerazioni non possono limitarsi solo ad esse. Il problema numero uno è quello legato al degrado e alla sicurezza nelle vie più antiche del quartiere. Sfidiamo chiunque a farsi una passeggiata in via San Martino il sabato sera, anzi sfidiamo chiunque semplicemente a indicarci dove si trova questa strada. Eppure questa è il nucleo più antico e ospita la bellissima chiesa omonima, attualmente dedicata al culto ortodosso. Proprio la storia multiculturale della nostra terra, che in passato ha ospitato vari popoli e che oggi accoglie comunità di ben quattro religioni, la cattolica, l’ortodossa, l’ebraica e l’islamica, potrebbe essere un grande punto di partenza per avviare questo processo di valorizzazione. In pochi a Trani conoscono la storia del nostro centro storico; gran parte di esso è conosciuto solo perché ospita il locale rinomato o il ristorante in cui si mangia bene, magari sede tempo fa di una chiesa, vedasi Sant’Antuono. La solita cultura del panzerotto, la cultura che porta solo ad individuare l’angolo più pittoresco per bersi una birra in compagnia, più che conoscerne il suo passato. Valorizzare un centro storico non significa solo aprirci pub e pizzerie per favorire la movida, anche perché in tal caso si dovrebbero operare controlli più ferrei per limitare l’impatto che questa ha sul patrimonio storico, e non crediamo che ciò accada nella nostra città, come nel caso di piazza-pattumiera Teatro. Per non parlare dei restauri messi in opera in alcuni dei palazzi storici di Trani, restauri in molti casi fini a se stessi, senza che potessero far si che i palazzi ospitassero, ad esempio, importanti sedi istituzionali. Anzi, in molti casi i restauri durano anni o sono addirittura interrotti e poi ripresi e poi di nuovo interrotti, come nel caso di palazzo Carcano, oppure sono affidati a privati, senza alcun controllo. Il risultato: scempi assurdi, come lo stabile in via Giudea demolito e ricostruito ex novo, senza alcuna relazione con quelli limitrofi, stessa fine che probabilmente farà l’ex Supercinema. All’elenco si aggiunge anche il degrado della zona a nord della città, alle spalle del Castello. Un’area questa che ha bisogno di un complesso progetto di recupero, ma di cui nessuno sembra interessarsi. Anche qui ci sarebbe la possibilità di eseguire degli scavi archeologici, ma si sa questi costano e il ricordo di palazzo Carcano scotta ancora. La lista potrebbe continuare all’infinito, ma non basterebbe un’intera pagina web per parlarne.
Il degrado non si ferma solo al centro storico. Al confine della nostra città vi è la presenza della villa romana, i cui resti sono stati individuati nei lavori di recupero del litorale sud, il cui intento era collegare lungomare Mongelli con le Matinelle. In questo caso, il comune, ricevuto il responso della Soprintendenza, si è limitato solo a far si che si aggirasse l’ostacolo [3]. E i resti che fine hanno fatto? Per non parlare del percorso artistico-culturale che, nel 2006, fu presentato dal comune e che sarebbe partito dalla cassa armonica della villa, per arrivare al museo archeologico che sarebbe dovuto sorgere a Colonna. Qualcuno ne ha mai sentito più parlare? Eppure c’erano in ballo ben 418.000 euro di finanziamenti P.O.R. della Regione Puglia, nell'ambito del Piano Integrato Settoriale "Normanno Svevo Angioino”[4]. A Colonna non siamo riusciti a far altro che spendere soldi per il concerto di Elton John. E Santa Geffa? La zona è stata affidata nel 2006 alla cooperativa Xiao Yan per la realizzazione di un centro di animazione sociale, aperto alle famiglie e a tutti i ragazzi della città. Il sindaco si affrettò a dichiarare come l’operazione non gravasse sulle casse comunali e che sarebbe servita a ridurre il degrado sociale, ma forse si dimenticava dell’importantissimo monumento risalente a 2000 anni fa, ormai abbandonato a se stesso. Anche qui l’elenco potrebbe continuare in eterno, comprendendo anche la distruzione di un dolmen presente nel nostro territorio (qualche tempo fa), di cui ormai si parla solo nei libri di storia, o ancora il capitolo Disfida di Barletta (o dovremmo chiamarla di Trani?) già discusso in un post precedente.
Ben vengano, a questo punto, idee come quella del consigliere comunale Franco Caffarella, riguardante l’”albergo diffuso”, progetto che porterebbe a realizzare camere e servizi negli svariati edifici storici di Trani, con una struttura centralizzata unitaria. Questo permetterebbe la valorizzazione del patrimonio edilizio del territorio e l’incremento della capacità ricettiva. Il progetto porterebbe anche la riduzione del turismo “mordi e fuggi”, a favore di un turismo più stabile e sostenibile, in nome della prerogativa di Città Slow di cui Trani gode da anni [6]. Tuttavia, sembra che a Trani troppe altre cose sono “slow”. Caffarella evidenzia come queste idee possano supportare la presentazione del dossier richiesto dall’Unesco per elevare il nostro centro storico a patrimonio mondiale. Ma basta solo questo? Certo è che la condizione del centro storico di Trani così come è oggi è molto molto lontana da quella che potrebbe portare l’Unesco ad una decisione favorevole in tal senso. Tante sono le differenze tra il nostro e i centri storici già patrimonio dell’Unesco: c’è qualcuno che crede che la situazione del nostro sia almeno vicina a quella di Venezia, di Roma, di Firenze o di Urbino?
A questo punto non ci resta che presentare il dossier ad un'altra Unesco, l’Unione dei Negligenti Estimatori degli Storici Centri Obsoleti; lì si che saremmo i primi in graduatoria e potremmo anche vantarcene.


NOVITA' PER IL COMITATO "SE NON ORA QUANDO"

sabato 26 marzo 2011

C’ERA UNA VOLTA IBÌA, PROVINCIA DEL REGNO DI TALÌA

Guerre, agguati, complotti e rivolte per un pregiatissimo albero di olive nere
DALLA TALÌA E DAL MONDO – Riportiamo quanto leggiamo in un manoscritto antico, o forse nuovo, che racconta gli strani rapporti tra un regno lontano, o forse vicino, e una sua provincia periferica. Il regno, a quanto riusciamo ad interpretare dalla pergamena ingiallita, si chiama o si chiamava Talìa e la provincia, situata ai confini del territorio, Ibìa.
Il racconto inizia con la descrizione di una grande guerra che coinvolse tanti regni ed imperi, compreso anche il regno di Talìa, che ne uscì pesantemente sconfitto e impoverito: il pegno da pagare per la sconfitta nella guerra fu proprio la provincia di Ibìa che il regno di Talìa si vide costretto a cedere alla grande potenza vincitrice, il vastissimo impero di Mérica. Il regno di Talìa firmò un trattato di pace in cui rinunciava per sempre al dominio sulla sua ex provincia di Ibìa.
Nella provincia di Ibìa si instaurò un piccolo regno compiacente all’impero: passarono alcuni anni e nel territorio della provincia un contadino scoprì uno strano seme dal quale nacque un enorme albero di grandi olive, nere come la pece, che, una volta spremute, producevano un olio tutto particolare dalle proprietà straordinarie. Subito l’olio nero di Ibìa attrasse l’interesse del mondo intero ma, per quanto esperti botanici si sforzassero di trapiantarlo, pareva che il seme miracoloso attecchisse solo sul terreno di quell’antica provincia del regno di Talìa. Non potete immaginare l’invidia dei ricchi abitanti di Talìa che avevano abitato in passato quella remota provincia calpestando un terreno di cui ignoravano completamente le enormi potenzialità.
E fu così che, grazie solo alle loro intense ed incessanti preghiere, si trovò il modo per far tornare la provincia di Ibìa sotto il controllo del regno di Talìa. Un giovane del luogo, l’astuto Gianmario, stufo del dominio straniero sulla regione, si mise a capo di un movimento di insorti che in pochi giorni destituì il farlocco che regnava per conto della grande Mèrica e si mise a capo di un nuovo governo di Ibìa. Il nuovo leader decise di ristabilire i legami di sudditanza con il vecchio regno lasciando però invariate le forme: in altre parole Talìa e Ibìa restarono regni separati ma, in sostanza, trattavano tra loro come fossero connazionali. Fu così che il prezioso olio varcò il confine per prendere il posto sulle tavole imbandite dei più ricchi mercanti di Talìa: in cambio nelle case di Gianmario presero posto tanti bei lingotti d’oro luccicanti.
Ovviamente il potente impero di Mèrica non poteva che essere molto scontento della nuova situazione creatasi, soprattutto perché in questo modo perdeva ogni possibilità di condire i propri cibi con quel delizioso olio di Ibìa. Così negli anni successivi l’esercito di Mèrica cercò di colpire Gianmario in gran segreto e di far fuori il suo governo. Ma le cose non andarono come Mèrica desiderava: alcuni soldati di Talìa infatti casualmente origliarono i soldati di Mèrica parlare del complotto e informarono subito il proprio sovrano a riguardo. Questi fu enormemente allarmato e, temendo di dover rinunciare alle olive, prontamente allertò Gianmario che si mise in guardia e scampò all’agguato.  
Nel frattempo gli abitanti di Ibìa cominciarono a capire che Gianmario, ormai fattosi anzianotto, li stava raggirando da anni: le grandi olive nere, infatti, sembravano letteralmente scomparire sotto il loro stesso naso, senza che i contadini di Ibìa potessero trarne il giusto profitto. La popolazione dell’antica provincia andava sempre più impoverendosi e contemporaneamente andava acquisendo consapevolezza che la colpa della loro indigenza fosse del ricco e astuto Gianmario, che aveva tenuto per sé tutti i proventi della vendite delle olive e dell’olio nero. Fu così che alcuni giovani abitanti di Ibìa decisero di dar luogo ad una rivolta, come quella che tanti anni prima aveva dato il potere a Gianmario. Proprio come in quel caso, anche questa volta gli eventi furono, in qualche modo, fatti precipitare da intense e incessanti preghiere, questa volta dei ricchi mercanti di Mèrica, golosissimi di olive nere.
Dopo tante primavere il vecchio Gianmario sembrava ormai destinato a perdere il dominio sulla provincia di Ibìa: allora andò su tutte le furie e, come uno scellerato, diede ordine ai suoi uomini di ammazzare tutti coloro che osassero esprimere dissenso verso il suo operato. Fu una strage: bambini, vecchi, uomini, donne anche solo sospettati di pensarla diversamente da Gianmario furono strangolati nel sonno. Fu una drammatica strage. Ma fu anche ciò che l’impero di Mèrica aspettava per avere il pretesto di attaccare apertamente Gianmario ed invadere Ibìa, per difendere i rivoltosi ingiustamente trucidati, ma soprattutto per riprendere il controllo di quel terreno miracoloso. E il regno di Talìa che cosa fece? E che poteva fare? In fondo quella strage era anche un po’ colpa dei mercanti di Talìa che avevano trattato con il connazionale Gianmario, pur sapendo che questi avrebbe tenuto per sé tutti i lingotti, avaro com’era. Che fare dunque? Mettersi contro il potente impero di Mèrica pareva improponibile. La posizione di Gianmario però era indifendibile. Bisognava rinunciare di nuovo, e forse per sempre, a quell’antica provincia e al suo prezioso olio?
Qui il manoscritto si interrompe, lasciando alla fantasia del lettore ipotetiche conclusioni.

domenica 20 marzo 2011

I POST DELLA SETTIMANA

TEATRO COMUNALE, RIAPRIAMO IL SIPARIO

Idee e proposte, più o meno realizzabili, sulla sede del futuro teatro

DA TRANI - Le discussioni sulla possibile realizzazione di un teatro comunale a Trani stanno animando in queste settimane il dibattito politico, e non solo, nella nostra città. Il tema affrontato è senza dubbio importante per una città che rivendica spesso la sua qualità di polo culturale d’eccellenza, ma i cui investimenti in quest’ambito sono sempre più ridotti. Da troppo tempo Trani è una città senza un teatro stabile, pur essendo stata la prima località del meridione ad averne ospitato uno. Dal lontano 1793 l’antico teatro ha vissuto alterne vicissitudini, fino alla completa demolizione e alla realizzazione nell’area in cui sorgeva dell’attuale piazza, espressione della “cultura del panzerotto”, che oggi anima sempre più la nostra città. Bei tempi quelli.
Troppo complicato al giorno d’oggi investire nella cultura ed è proprio per questo che alcune associazioni culturali cittadine (la prima fu l’Acli nel 2009) hanno invitato formalmente l’amministrazione comunale ad acquisire l’immobile in cui sorgeva, fino a tre anni fa, il Supercinema, simbolo nei decenni scorsi di quella cultura tranese oggi più che mai bistrattata [1]. Proprietà di un gruppo di persone con, evidentemente, interessi eterogenei, lo stabile rischia seriamente di essere acquistato da un privato, il quale, secondo indiscrezioni riportate dall’assessore alla cultura Andrea Lovato durante uno dei forum organizzati dalle associazioni su citate, potrebbe demolirlo e far posto a palazzi [2]. Seri dubbi suscita questa soluzione, visto lo scempio urbanistico messo in atto nella zona in tempi passati, dove accanto a edifici più antichi, sono sorti palazzoni altissimi, il tutto in un’area storica della città. Per questo la proposta di ristrutturare lo stabile e riadattarlo a teatro comunale risulta preferibile. Le associazioni che cavalcano questa ipotesi hanno evidenziato come l’operazione possa essere di basso impatto economico, vista la conformazione della struttura, che già in passato ospitava una sala teatrale e cinematografica. Inoltre, il circolo Acli di Trani sottolinea come all’operazione recupero del Supercinema possano partecipare le numerose compagnie teatrali cittadine e nel 2009 auspicava la possibile presenza di una folta cordata di imprenditori pronti ad investire nella fondazione “Ida Grecca del Carretto”, che avrebbe senza dubbio ridotto le spese di acquisto e rifacimento dello stabile, a vantaggio delle non rosee casse comunali [3]. Inoltre si nota come la presenza di un teatro stabile in città possa essere fonte di sviluppo, oltre che a livello culturale, anche a livello economico e turistico per Trani, per i sostanziosi proventi che questo settore garantisce.
L’idea, comunque apprezzabile, non è priva di aspetti negativi. Innanzitutto sorgono dubbi sulle dimensioni dell’edificio, a nostro parere troppo piccolo per ospitare un teatro stabile; considerando le numerose strutture che dovrebbero essere realizzate e collegate ad esso e la penuria di aree destinate a parcheggio, in una zona con alta densità abitativa, il dubbio è più che fondato. Il rischio è realizzare un complesso teatrale molto simile al vicino cinema-teatro Impero, struttura ibrida, visto il contemporaneo utilizzo della sala per proiezioni cinematografiche, che resta la maggiore fonte di guadagno per i gestori. Certo le stagioni teatrali all’Impero si realizzano, ma possiamo accontentarci degli spettacoli di Gianfranco D’Angelo o Corrado Tedeschi (senza offesa), visti anche i più illustri artisti ospitati, ad esempio, al Teatro Curci della vicina Barletta? Ecco, a fronte di tutto ciò, non crediamo che realizzare un altro teatro di dimensioni ridotte possa portare introiti tali da ammortizzare in breve tempo le spese di ristrutturazione e gestione dell’impianto, oppure dare quell’impulso culturale che porterebbe anche gente delle città vicine a venire a teatro nella nostra città. Tanto vale tenerci l’Impero. Ma l’assurdità di questa soluzione è microscopica in confronto all’idea che il sindaco Giuseppe Tarantini propose alla cittadinanza qualche anno fa e, che recentemente ha riportato in auge. Parliamo della proposta di realizzare il teatro comunale nell’attuale sede dell’Amet, proposta più volte considerata un cardine del progetto politico della seconda amministrazione Tarantini. Presentato qualche anno fa, il progetto  (che riprende uno simile risalente a circa 40 anni fa) preveda di riadattare lo stabile alla nuova destinazione d’uso, inglobare nel complesso anche il vicino carcere femminile, tramite la realizzazione di un passaggio che colleghi i due edifici e la conseguente costruzione di un sottopasso che dal lungomare conduca a piazza Plebiscito. Insomma un progetto faraonico, considerando sia i costi di realizzazione in sé, sia quelli relativi agli obbligati trasferimenti dell’azienda Amet e del carcere femminile in altri siti. Tanto assurdo da chiedersi quasi se chi l’ha proposto ci credesse veramente. Inoltre si dovrebbero mettere in conto i tempi occorrenti per i due trasferimenti, soprattutto quello relativo all’azienda municipalizzata. Qualche anno fa fu indetto un bando pubblico atto ad individuare una società che fosse disposta a finanziare un leasing di quasi 9 milioni di euro all’Amet, in modo da consentirle di avere una nuova sede in via Andria e cedere la sede storica di piazza Plebiscito al Comune. L’enorme cifra in gioco, anche in relazione alla crisi economica di questi tempi, ha fatto si che il bando scadesse (agosto 2010) senza che nessuno presentasse un’offerta. Questo, in concomitanza con l’insediamento del nuovo presidente e del nuovo C.d.a., ha rallentato i tempi, portando ad un, si spera, definitivo tramonto delle idee faraoniche del nostro sindaco: queste sarebbero un bel tema per un’eventuale commedia da portare in scena [4]. Nonostante tutto, Tarantini ha recentemente rilanciato la proposta, mentre il suo delegato ad uno dei forum di cui si parlava in precedenza, l’assessore Lovato, giustificava l’idea, dichiarando come il problema fosse legato ai finanziamenti dell’Unione Europea, che sarebbero “garantiti solo per strutture nuove o almeno prossime al centro storico”. Inoltre, “il progetto di riconvertire la sede di Amet godrebbe di un finanziamento di 6 milioni di euro, ma per il Supercinema non ve ne sarebbero” [2].
Insomma i dubbi che ci vengono riguardano sia l’una sia l’altra proposta. Tuttavia, vogliamo noi stessi proporre una soluzione. Perché non scegliere come sito per un eventuale teatro l’area attigua all’ex distilleria Angelini, alle spalle del castello? Questa zona, dal 2008 sottoposta a vincolo archeologico [5], sia per la vicinanza al castello sia per i ritrovamenti di importanti resti archeologici, fu menzionata qualche tempo fa dall’ex presidente dell’Ordine degli Avvocati di Trani Ugo Operamolla come sede di un autosilos, per risolvere il problema dei parcheggi legato al vicino Tribunale [6]. Ve lo immaginate un gigante autosilos, un mostro di cemento armato, che fa da sfondo a uno dei panorami più belli di Trani? In successione: Cattedrale, Palazzo Torres, Castello, autosilos. Mah! Al contrario, crediamo che la costruzione in quella vasta area (come nota nella foto da satellite) di un teatro ex novo potrebbe valorizzare la zona, sia a livello urbanistico e paesaggistico, sia a livello sociale ed economico. Il tutto comprendendo anche la litoranea nord, ormai sempre più deturpata ed abbandonata. Il vincolo archeologico non sarebbe d’intralcio, poiché secondo una sentenza del TAR del Lazio del gennaio di quest’anno, la sua imposizione non esclude, ferme restando l’autorizzazione e il parere della Soprintendenza competente, la possibilità di eseguire lavori di bonifica e anche di edificare, purché la costruzione sia realizzata senza che i reperti archeologici subiscano un uso incompatibile col loro carattere storico o artistico” [7].
Si auspica, a questo punto, che così come l’assurda idea di Operamolla, a questo punto non realizzabile visto che un autosilos non potrebbe mai salvaguardare i beni archeologici dell’area, ha avuto grande rilevanza sui media locali, così la nostra proposta possa essere ugualmente presa in considerazione, pur sapendo che un’eventuale opera simile porterebbe a spendere una cifra sostanziosa, in parte coperta dai finanziamenti della UE a cui faceva riferimento l’ass. Lovato. Inoltre in un sol colpo l’amministrazione comunale dimostrerebbe di avere ancora a cuore la cultura a Trani, senza che siano spesi denari pubblici per opere astruse ed irrealizzabili.

[5] http://www.radiobombo.com/news/40696/trani/l-area-dell-ex-distilleria-sottoposta-a-vincolo-archeologico
[6] http://www.traninews.it/articoli/5944-autosilos-in-via-dei-finanzieri-la-soluzione-per-i-parcheggi-.asp
[7]http://lexambiente.it/beni-culturali/267/2817-Beni%20culturali.%20Espropriazione%20per%20vincolo%20archeologico.html?format=html&Itemid=18&option=com_content&view=article&catid=267&id=2817:Beni%20culturali.%20Espropriazione%20per%20vincolo%20archeologico&month=3&year=2007


REFERENDUM 12 GIUGNO: FINALMENTE LA PAROLA AI CITTADINI

Non fosse per Celentano e Di Pietro forse non ne sapremmo nulla
DALL’ITALIA  – Un sondaggio di Ipr Marketing per Repubblica rivela che, a meno di tre mesi dalla chiamata alle urne, solo tre italiani su quattro (74%) sanno che ci sarà un referendum a giugno e che appena il 7 per cento conosce i quesiti. Responsabilità di questa ignoranza ovviamente è dei media che hanno deciso di parlarne il meno possibile: un muro di silenzio abbattuto in parte solo dalle incursioni nei talk show politici da parte di Antonio Di Pietro, presentatore di due dei quattro quesiti referendari, e dalle provocazioni di Adriano Celentano, autore di una lettera al Corriere della Sera e di un video inviato alla trasmissione Annozero. Ovviamente a questa mancanza dei mezzi di comunicazione “tradizionali” sopperisce la rete. Di seguito abbiamo riportato i quattro quesiti referendari [1]; si tratta di quesiti abrogativi, per cui votando SI verrebbero eliminate le decisioni prese dal Governo e dal Parlamento, mentre votando NO si lascerebbe tutto com’è.
-          I primi due quesiti, proposti per iniziativa civica da varie associazioni, riguardano l’abrogazione di alcune norme decise dal Governo riguardanti la gestione privata dell’acqua, in particolare le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Se vincesse il NO e le cose restassero come sono ci sarebbe il serio rischio di vedere “privatizzata” la gestione di un bene primario per la sopravvivenza, con tutti i rischi che ciò comporta in termini di costi per i consumatori e di effettiva qualità del servizio.
-          Il terzo quesito, proposto dall’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, prevede la cancellazione di circa 70 norme contenute in provvedimenti che, con il Governo Berlusconi, prevedono il rilancio del nucleare italiano. Inutile ricordare che quelle decisioni sono state prese dal Governo ignorando completamente la consultazione referendaria del 1987 in cui gli italiani si espressero contro il ritorno delle centrale nucleari in Italia. E’ interessante notare come secondo un sondaggio realizzato da Fullresearch nei giorni dell’emergenza degli impianti in Giappone (dove c’è il rischio di una nuova Chernobyl a seguito dei danni provocati dal terremoto) sette italiani su dieci sono contrari alla costruzione di centrali nucleari e, quindi, teoricamente se andassero a votare il 12 Giugno, voterebbero SI a questo quesito contro la   realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare. [2]
-          Il quarto quesito, proposto ancora dall’Italia dei Valori, riguarda l’eliminazione della legge del 2010 riguardante il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale. Questa legge è stata già epurata in parte dalla Consulta poiché ritenuta parzialmente incostituzionale, ma la completa cancellazione avrebbe una grande importanza politica perché, in caso di vittoria del SI, come scrive la redazione de Il Fatto Quotidiano, “il premier voluto dal popolo, che governa in nome del popolo e cerca di sfuggire alla giustizia sempre in nome del mandato popolare si ritroverebbe di fatto sfiduciato dalla maggioranza degli elettori”. [3]
Com’è noto, la consultazione referendaria si svolgerà in una data diversa dalle tornate elettorali per le elezioni amministrative e gli eventuali relativi ballottaggi, ed è stato accuratamente evitata la sovrapposizione in un unico giorno, il cosiddetto election day, per decisione del Governo e del Parlamento.  Secondo Dario Franceschini, il capogruppo alla Camera del Pd, “dire no all’election day significa buttare dalla finestra 300 milioni di euro in un momento di crisi economica per le famiglie e i lavoratori. […] Il governo ha anticipato il no alla nostra richiesta di election day unicamente per impedire che il referendum sul legittimo impedimento raggiunga il quorum”. [3]
Il “no” all’election day, va sottolineato, è arrivato dopo tre mozioni delle opposizioni, che chiedevano l'accorpamento del primo turno delle elezioni amministrative con i referendum. Nelle tre votazioni la maggioranza ha prevalso per un solo voto. Quello del radicale Marco Beltrandi, eletto con il Pd, che ha dichiarato: "Ho votato in dissenso dal Pd perché sono contrario al quorum e perché penso che l'election day sia un sotterfugio per aggirare la legge". Mah, no comment! [4] A parziale discolpa del Beltrandi, va detto che nel gruppo Pd erano assenti due deputati, due nell' Idv e otto in Futuro e Libertà. [4]
Aldilà degli strani comportamenti di questi parlamentari, ciò che sorprende di più è che, di questo referendum, non ne parli praticamente nessuno in TV.
Evidentemente il Governo e le forze di maggioranza non ne parlano avendo scelto la linea dell’astensione, legittima ma non eticamente corretta dal punto di vista dei principi della dialettica democratica: si tratta di una manovra che mira al mancato raggiungimento del quorum che invaliderebbe la consultazione referendaria (lasciando inalterati i provvedimenti del governo). Una scelta che fa leva sul tipico “menefreghismo” dell’italiano medio che preferisce un’intera giornata al mare a 5 minuti in una cabina elettorale per decidere le sorti proprie, dei suoi concittadini e forse anche dei suoi figli. L’atteggiamento della maggioranza pare dunque decisamente discutibile: si tratta di una sorta di rifiuto al confronto, tipico di chi sa che la sfida sarebbe persa, se non fosse per la decisione di abbandonare il campo della battaglia.
Sorprende però che anche le forze di opposizione si siano dimenticate, se non in rarissimi casi, di parlare apertamente del referendum, magari traendo spunto dell’emergenza nucleare giapponese: è un comportamento incomprensibile perché una larga partecipazione al referendum dimostrerebbe che gli italiani hanno a cuore le sorti del proprio paese, a differenza di quanto sembra pensare la maggioranza parlamentare, a giudicare dalla posizione astensionista.
Probabilmente entrambi gli schieramenti politici, fatta eccezione forse solo per coloro che lo hanno proposto, sono accomunati dal timore nei confronti di uno strumento, quello del referendum, che appare decisamente lontano dalle logiche dei nostri politicanti, fatte spesso di “inciuci” e “sotterfugi” per mantenere prestigiose poltrone. Il referendum è infatti una forma di democrazia diretta, una delle rare occasioni in cui i cittadini possono direttamente partecipare alle decisioni dello Stato, senza la mediazione di “rappresentanti” che troppo frequentemente dimenticano le ragioni dei “rappresentati”. Per questo motivo il 12 Giugno 2011 dobbiamo votare: un mancato raggiungimento del quorum sarebbe un duro colpo per la nostra fragile democrazia.

[4]http://www.repubblica.it/politica/2011/03/16/news/garante_per_l_infanzia_governo_battuto_due_volte-13674122/index.html?ref=search

IL “TESORO” DI PIAZZA LONGOBARDI (PARTE TERZA)

L’articolo su “Il giornale di Trani” e “i piccoli pesci nel mare dei grandi”
DA TRANI – La scorsa settimana il nostro blog è approdato sulle pagine de “Il Giornale di Trani”: nell’ultimo numero del 12 Marzo 2011, a pag. 3, Donato De Ceglie ha risvegliato i flebili ricordi dei cittadini sui possibili ritrovamenti archeologici che porterebbe alla luce uno scavo sotto il manto stradale di Piazza Longobardi. Approfittiamo dell’occasione per ricordare, per l’ennesima volta, la grande importanza storica dei possibili rinvenimenti: dallo scavo potrebbero emergere i fondaci longobardi, gli antichi luoghi dei mercanti lombardi medievali, e le chiese di S. Maria dell’Annunziata e di S. Toma, antiche di almeno sei secoli.
Ringraziamo naturalmente Donato De Ceglie per aver diffuso il contenuto del vecchio post riportato in questo blog (sperando che voglia diffonderlo anche in rete!), citando scrupolosamente la fonte, cosa non scontata considerati alcuni incresciosi precedenti con TraniWeb e TraniViva. Il giornalista è stato molto capace nel riportare i punti salienti della questione e le critiche sollevate da questo blog, compresi i collegamenti da noi effettuati con altre situazioni analoghe in cui non si può dire che si sia valorizzato il nostro patrimonio culturale (vedi l’antica villa romana ritrovata su Lungomare Mongelli e il degrado in cui versa Palazzo Vischi e il passaggio del cosiddetto “Fondaco dei Longobardi”). Un'unica mancanza, perdonabile certamente, è da imputargli: il giornalista non ha voluto citare, tra i collegamenti da noi proposti, la penosa tramutazione dell’antichissima chiesa di S. Antonio Abate, sotto il Fortino, in un lussuoso ristorante. Forse il giornalista non ha voluto mettere in difficoltà la testata giornalistica che riceve importanti finanziamenti pubblicitari proprio da quel ristorante, tanto da meritarne l’inserzione in prima pagina. E d’altronde il sito de “Il Giornale di Trani”, RadioBombo.com, si era occupato recentemente del suddetto ristorante senza spendere una parola di critica su quella discutibile scelta dell’Amministrazione Comunale, ma solo per tessere gli elogi dei cuochi che ci lavorano che avrebbero meritato un prezioso riconoscimento nazionale, quello di Cuoco dell’Anno 2011. [1] Tanto per fugare il campo da equivoci, en passant, nessuna colpa può essere imputata all’aggiudicatario di quella gara pubblica per l’assegnazione dell’immobile, ma la responsabilità non può che ricadere su chi indisse quella gara, ignorante del patrimonio artistico che si stava svendendo. [2]
Un altro ringraziamento lo dobbiamo ad un lettore, uno studente di archeologia, M. P., che ci scrive che “sarebbe davvero interessante magari avviare possibilmente uno scavo archeologico anche per soli volontari” e aggiunge: “mi domando poi perchè tutte queste notizie non vengano mai "fuori" oppure ben valorizzate dagli organi competenti, come può una Sovrintendenza del Ministero dei Beni culturali fregarsene altamente ...” Il lettore poi pone una domanda interessante: “noi piccoli pesci, cosa possiamo fare di concreto nel mare dei grandi?”
E’ vero, la vita per i piccoli pesci oggi, in questa  città come in Italia, non è semplice: d’altro canto, però, inutile è rassegnarsi. Meglio cercare di informarsi e di informare, diffondere le proprie piccole e parziali conoscenze agli altri, per esempio grazie alle enormi possibilità offerte oggi dal web, dalla “rete” appunto. I social network, i blog, youtube, oggi consentono di condividere informazioni con una cerchia sempre più larga di persone: ribadiamo l’invito a tutti i lettori a commentare i nostri post, a diffonderne il contenuto (se possibile, citando la fonte, grazie!), ad aggiungere il proprio contributo di conoscenze.
Il nostro lettore aggiunge che quello di Piazza Longobardinon è l'unico bene archeologico che viene scoperto e ricoperto ...” Lui e molti altri sono probabilmente a conoscenza di altri scempi archeologici compiuti a Trani: quale occasione migliore per metterne a conoscenza gli altri cittadini, se non commentare questi post. TranItaliaMondo potrebbe fare da piccola “cassa di risonanza”. Passare parola, in definitiva, è l’unica soluzione per sollecitare i pesci più grossi a mettere da parte i propri interessi per curare gli affari di tutti gli abitanti dell’ecosistema.
I piccoli pesci, quindi, per parte loro, possono cercare di nuotare nella stessa direzione, seppure contro corrente, consapevoli che, in ogni caso, il loro guizzo può essere in grado di spostare qualche piccola corrente, che può generare a sua volta turbine e gorghi più grandi, che forse riusciranno a deviare il percorso dei pesci più grossi, sperando magari che qualcuno di questi voglia unirsi a loro, seppur per un breve tratto. E, in ogni caso, il piccolo pesce non ha altra scelta se non vuole essere fagocitato: deve nuotare e, se ci riesce, deve convincere gli altri piccoli pesci a fare altrettanto, senza complessi di inferiorità, perché molti pesci che sembrano grandi sono solo pieni di aria gonfiata.

domenica 13 marzo 2011

I POST DELLA SETTIMANA

SCUOLA PUBBLICA… L’ULTIMA DELLA CLASSE

L’impietosa fotografia di un Paese che non investe abbastanza nell’edilizia scolastica

DALL’ITALIA E DA TRANI - Alcuni giorni fa Legambiente ha presentato l’11° rapporto nazionale sull’"Ecosistema Scuola", riguardante la qualità dell’edilizia scolastica e delle strutture e dei servizi ad essa collegati [1]. La ricerca annuale si basa su dati, raccolti tramite questionario, relativi alle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado; sono state coinvolte le città capoluoghi di Provincia e gli Enti Provinciali. Almeno quello era l’intento di Legambiente, poiché purtroppo sui 117 capoluoghi italiani, solo 93 hanno presentato la documentazione completa, così come sulle 110 Province, neanche la metà ha inviato dati completi. E, indovinate un po’, in Puglia solo Lecce e Taranto sono entrate nella classifica finale, cosicché risulta impossibile valutare in maniera completa  la situazione delle scuole nella nostra Regione, ma anche nella nostra provincia o nella nostra città. Un problema che da anni il nostro Paese non riesce a risolvere è quello legato all’assenza dell’Anagrafe Scolastica, la quale permetterebbe di avere un quadro completo sulle condizioni dei nostri 42000 plessi scolastici. Il tema affrontato da questa pubblicazione risulta molto serio e, sicuramente, sottovalutarne i risultati finali potrebbe essere pericoloso, anche perché le scuole dovrebbero essere gli edifici più sicuri in assoluto. I parametri di giudizio adottati spaziano dalla valutazione dell’agibilità statica degli edifici, al rispetto delle normative antisismiche, dagli investimenti per la manutenzione ordinaria e straordinaria, alla salubrità igienico-sanitaria, dalla presenza di impianti sportivi, alla sostenibilità gestionale degli edifici, fino all’adozione della raccolta differenziata e del cibo biologico nelle mense. Certo non è in questo post che verranno presentati i dati raccolti (è on-line il dossier completo), ma il nostro intento è quello di trarre delle conclusioni, basandoci anche sulle vicende riguardanti le scuole della nostra città.
Preoccupa che, come denunciato da Legambiente stessa, in Italia non si riescano ad individuare strategie efficaci per far si che la questione scuola non più sia considerata come una emergenza nazionale, ma sia coinvolta in un più ampio processo di intervento che preveda una seria programmazione e gestione delle risorse. E’ proprio questa la questione cruciale: l’iter burocratico di passaggio delle risorse economiche dallo Stato agli Enti Locali è molto spesso così lungo e tortuoso da causare ritardi importanti, anche in casi di piccoli interventi di manutenzione ordinaria. Questa incertezza mette in crisi gli stessi Enti Locali competenti, i Comuni per le scuole fino alla secondaria di primo grado e le province per le Scuole superiori, che secondo il rapporto investono in media circa 41000 euro annui ad edificio per la manutenzione straordinaria e solo 10000 euro annui per quella ordinaria. Le cifre sono irrisorie, in quanto bisogna tener presente le condizioni attuali delle nostre scuole e la necessità di adeguamenti normativi e di messa in sicurezza. Il tutto è favorito dal fatto che in Italia il 65% delle costruzioni scolastiche risulta realizzato prima degli anni ’70. Pretendere di tenere in piedi un patrimonio così vetusto, senza che si investano cifre importanti, risulta alquanto azzardato. Ma in realtà qual è l’entità dei fondi a disposizione degli Enti Locali? Nel nostro Paese avventurarsi in questioni simili richiede uno sforzo immane, ma almeno secondo quanto riportato da "Ecosistema Scuola", del miliardo di euro di fondi FAS (i celeberrimi Fondi per le Aree Sottoutilizzate) deliberato dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), decurtato di 256 milioni per far fronte all’emergenza Abruzzo, finora sono stati assegnati circa 358 milioni da destinare ad interventi urgenti per i casi di maggior rischio rilevati durante i monitoraggi, e i rimanenti 400 milioni sono ancora da ripartire. Per il 2010 e il 2011 non sono previsti ulteriori finanziamenti, se si escludono quelli aggiuntivi relativi al 5% del fondo infrastrutture (circa 115 milioni). Se alla insufficienza di queste risorse e i continui tagli perpetrati dal Governo centrale aggiungiamo che ancora oggi la Conferenza delle Regioni lamenta la poca chiarezza dei criteri di ripartizione dei finanziamenti su citati, ci si rende conto di come la situazione non sia delle più rosee. Per questo Legambiente nel suo rapporto chiede che si faccia chiarezza sia sulle competenze degli Enti nei processi di programmazione e gestione dell’edilizia scolastica, sia sull’effettiva entità delle risorse disponibili; il tutto affinché si sviluppi "una metodologia d'intervento che superi la filosofia dell'emergenza per quella della programmazione".
Un altro dato allarmante è la forbice esistente tra la qualità del patrimonio edilizio tra Nord e Sud: quest’ultimo pur avendo un patrimonio più giovane, necessita di maggiori interventi rispetto a quello settentrionale. A tal proposito cadono a pennello gli eventi verificatisi negli ultimi tempi nelle scuole tranesi. Da sottolineare il vergognoso stato in cui versa l’ala di più recente costruzione della scuola elementare E. De Amicis, in cui nei giorni scorsi vi sono state infiltrazioni d’acqua a seguito delle copiose piogge [2]. Una cosa è certa: a Trani quando piove non si allagano solo strade e sottopassi, ma anche le scuole. Dopo varie segnalazioni, sia da parte dei genitori sia da parte della dirigente, i tecnici del comune sono intervenuti per normalizzare la situazione. A questi eventi è seguita la dichiarazione dell’assessore Di Savino, impegnato come non mai a destreggiarsi  tra allagamenti e infiltrazioni varie, il quale ha invitato a non speculare sui bambini [3]. Certo, ma questi meriterebbero almeno un’attenzione particolare. Egli ricorda anche il tempestivo intervento dell’amministrazione nella messa in sicurezza del cornicione della scuola, ma forse si dimentica che tale intervento tanto tempestivo non lo è stato, visto che dal cornicione della parte meridionale dello stabile vi è stato l’effettivo distacco di calcinacci, per fortuna avvenuto di notte [4]. Non si poteva provvedere prima? Come forse anche si poteva provvedere prima a rimuovere l’enorme cartellone pubblicitario presente davanti all’uscita di sicurezza della scuola media G.Rocca, davanti a una rampa per disabili [5]; anche qui si parla di intervento tempestivo del comune, ma per mesi e mesi quel cartellone è rimasto lì a pubblicizzare prodotti ed eventi pur risultando abusivo. C’è voluta la solita segnalazione dei Verdi per provvedere alla rimozione: da soli era difficile arrivare ad una conclusione simile. Per non parlare, poi, del vicino liceo classico (ma in tal caso, come detto prima, la competenza è della Provincia); anche qui, se nei bagni del primo piano non scorre acqua, al pian terreno ce n’è abbastanza, anche troppa, visto che si sono verificate infiltrazioni nelle aule a seguito degli acquazzoni. E non è la prima volta, secondo quanto testimoniato dagli studenti. Ma niente paura, neanche a farlo apposta lo stesso giorno l’ente provinciale ha stanziato dei fondi per la messa in sicurezza della scuola, cifra comunque ritenuta insufficiente. Altro esempio di tempestività. Peccato però che in ogni caso trattasi di scuole costruite nel periodo fascista e che richiederebbero un’opera di ristrutturazione seria e completa per garantire la sicurezza dei ragazzi, anche a fronte di eventi verificatesi nel passato. Ci rendiamo conto, tuttavia, di chiedere l’inverosimile ad un’amministrazione tanto impegnata a litigare e sbraitare per lo ″scippo″ dell’alberghiero, tanto da riuscire a malapena a tenere in piedi ciò che c’è già.
Tra l’altro, nel leggere questo post, ci si rende probabilmente conto di come in Italia il problema della sicurezza nelle scuole non è al primo posto nei pensieri di chi ci governa. Ah, dimenticavo un piccolo particolare: proprio chi ci governa qualche tempo fa dichiarava che la scuola pubblica non educa, figuriamoci se può avere qualche speranza di rimanere in piedi.





venerdì 11 marzo 2011

IL “TESORO” DI PIAZZA LONGOBARDI (PARTE SECONDA)

Finalmente qualcuno si occupa dei possibili scavi archeologici, ma in che modo?
DA TRANI – Buone notizie per chi ha a cuore Piazza Longobardi e quanto potrebbe celarsi sotto il suo manto stradale. Finalmente qualcuno si occupa della questione della possibilità di effettuare scavi archeologici di cui ci occupammo qualche tempo fa in un post. In quel post chiamammo all’appello Amministrazione Comunale, associazioni culturali, politici, Sovrintedenza, media locali ad intervenire in proposito con i loro mezzi e le loro potenzialità. Ebbene due media locali (o forse sarebbe meglio dire uno solo), TraniWeb e TraniViva, pare che abbiano risposto a quell’invito con due articoli.
Riepiloghiamo brevemente, a beneficio di chi non avesse letto il vecchio post, l’opportunità che potrebbero offrire i lavori di sistemazione di Piazza Longobardi: sarebbero un’ottima chance (forse l’ultima) per riscoprire sotto il manto stradale le tracce di un intero antichissimo quartiere che andò distrutto a seguito delle rappresaglie francesi del 1799. Tra ciò che potrebbe emergere potrebbero esserci addirittura i fondaci longobardi, gli antichi luoghi dei mercanti lombardi medievali, mentre è praticamente certo che si troverebbero tracce consistenti delle chiese di S. Maria dell’Annunziata e di S. Toma, antiche di almeno sei secoli.
Desideriamo anzitutto ringraziare Francesca Corraro, autrice dei due articoli, che, se non altro, ha acceso i riflettori su una vicenda che a molti cittadini tranesi era ed è tuttora ignota, prendendo … “spunto” (diciamo così) dal nostro post. Inviterei chiunque legge questo post, a commentare a margine di quell’articolo (o anche di questo post), soprattutto chi è a conoscenza di informazioni e di dettagli aggiuntivi rispetto a quanto si è già discusso. 
Un ottima notizia, dunque. La diffusione dei nostri post ci è particolarmente gradita. Il passaparola è essenziale. Ma … ci sono dei “ma”. Anzitutto, quanto costava avere la gentilezza di citare la fonte? Un piccolo link anche in coda pagina sarebbe stata cosa gradita.
E’ vero, il nostro blog non ha alcun modo di rivendicare il copyright sui propri post, ma è una questione di cortesia, di rispetto, di educazione. Soprattutto per una giovane giornalista, l’attenzione nel citare le fonti sarebbe una prerogativa ineludibile. Soprattutto quando poi non ci si limita a trarre spunti e informazioni dalla fonte ma, come in questo caso, a copiarne integralmente degli interi periodi e capoversi: comprese le frasi tra parentesi, con una tale perizia che manco i monaci amanuensi medievali (contemporanei di quei longobardi di cui si sta parlando) dovevano possedere.
Effettivamente qualche “distrazione” nella trascrizione c’è stata e non di poco conto. E questa è la seconda nota dolente. Anzitutto nell’articolo si fa riferimento esclusivamente alla chiesa dell’Annunziata senza alcun cenno all’altra chiesa, S. Toma, della quale  pure sotto la piazza dovremmo trovare qualche antica vestigia. Dell’ipotesi di ritrovare i fondaci longobardi, anch’essi ubicati in quella zona, non si dice nulla. Vi sono poi alcune inesattezze, come la frase iniziale nel trafiletto a fianco del corpo del testo su TraniViva “Il nome stesso della piazza suggerisce la presenza dei Longobardi a Trani”: non è certo il nome della piazza la prova della presenza longobarda a Trani ma i numerosi documenti oltre alle evidenze artistiche nel nostro centro storico. Anche la frase “c'era una chiesa nota a tutti come Santa Maria Annunziata” è impropria visto che il nome di una chiesa è univoco e non un nickname.
Ma non ci sono solo sviste; nell’articolo ci sono parecchie omissioni, legittime per carità, ma tali da far venire il dubbio: perché alcuni periodi sono stati copiati e altri no?
Mancano soprattutto i nostri richiami a Sovrintendenza e Amministrazione Comunale e i riferimenti critici ad altre vicende in cui questi soggetti, a nostro avviso, non sono intervenuti a vantaggio della promozione del nostro patrimonio storico e artistico (vedi il caso dell’antica Chiesa di S. Antonio Abate, sotto il fortino, divenuta un ristorante di lusso). 
Ma c’è ancora un’altra mancanza. Il senso del nostro post è stato stravolto per piegarlo evidentemente a logiche di chi, in qualche modo, appare interessato a che niente si muova intorno alla possibilità degli scavi archeologici. Dall’articolo emerge una pesante rassegnazione e anche un invito a dimenticare il tesoro che si potrebbe celare sotto il piazza: insomma, per dirla con l’autrice, a non “piangere sul cemento colato”. Innanzitutto non sappiamo se sia stato “colato il cemento” nei lavori di sistemazione degli anni ‘80: se effettivamente così fosse stato sarebbe stato un grave scempio storico e artistico e, per un giornalista, sarebbe estremamente interessante scoprire chi diresse quei lavori, chi era l’Assessore ai Lavori Pubblici allora, dov’era in quella circostanza la Sovrintendenza, cosa avrebbero da dire oggi questi soggetti a loro discolpa. Per di più è improbabile, seppure si sia fatto uso del cemento, che l’intera piazza sia stata coperta da un’enorme distesa di calcestruzzo armato: visto e considerato che, come documentato, sul luogo della piazza esisteva un intero quartiere con costruzioni di rilevante interesse storico, è possibile che oggi, da uno scavo, possano emergere tracce importanti, fondazioni, impianti murari, etc. Lo sostiene anche l’Arch. Francesca Onesti che ha commentato l’articolo. In pratica qualcosa sotto la piazza deve ancora esserci e non solo l’”anima” della chiesa dell’Annunziata. Lì sotto, lo ribadiamo, non c’è solo il “ricordo” dell’antica chiesa ma potrebbe celarsi un vero e proprio tesoro sul quale, in ogni caso, è necessario investigare; come si fa ad affermare che non c’è niente o che c’è solo cemento se non si fa uno scavo archeologico?
Viene il sospetto, a questo punto che l’articolo sia stato scritto proprio al fine di spegnere polemiche e legittime rivendicazioni dei cittadini prima ancora che queste entrino nel vivo. E d’altronde la giovane giornalista di TraniWeb potrebbe averne tutto l’interesse, visto che, sempre da articoli di RadioBombo, apprendiamo come la ragazza si identifichi tra i “giovani della destra tranese” che non credo abbiano intenzione di denunciare le mancanze dell’attuale maggioranza del Consiglio Comunale. E d’altronde è un peccato che Francesca Corraro e Raffaella Ardito, presidente della Giovane Italia di Trani e collaboratrice nella stesura dell’articolo, dimostrino nell’articolo una tale rassegnazione visto e considerato che avrebbero la possibilità di sollecitare i vertici della propria area politica ad intervenire.
Sempre da TraniWeb apprendiamo che la stessa Corraro e altri giovani esponenti della destra tranese si sarebbero attivati per l’apertura di una Web Tv, iniziativa senz’altro encomiabile. La stessa giornalista espone così la sua iniziativa “Sarà una TV rivolta tutti coloro che sono stanchi della solita informazione <<deformazione>> quotidianamente trasmessa sul piccolo schermo.” Ci sarebbe da chiedersi di chi è la responsabilità di questa “deformazione” operata dai media, ma la domanda finirebbe con l’essere retorica ed avere una risposta abbastanza scontata. Preferiamo tornare alla questione di Piazza Longobardi per invitare tutti i lettori di questo blog, qualunque sia la loro opinione politica, a non rassegnarsi a “passeggiarci sopra ma a continuare a passare parola per sollecitare chi di dovere ad un intervento tempestivo che ci permetta di riscoprire, ora o mai più, un importante tassello della millenaria storia di questa città.