venerdì 12 novembre 2010

LA “BANDA LARGA” E LA “CINGHIA STRETTA”

La carenza di iniziative e finanziamenti per la diffusione della rete rischia di essere una zavorra per lo sviluppo economico e culturale

DALL’ITALIA E DA TRANI - Certamente chi legge questo post ha sentito parlare di banda larga e probabilmente ha un particolare interesse nella diffusione di Internet ad alta velocità. Ma quale iniziative vengono poste in atto, a livello nazionale o locale, affinché ciò si renda possibile? Anzitutto è forse necessario riassumere, in poche e semplici parole, quello che è il quadro attuale con le relative problematiche: una definizione convenzionale di banda larga potrebbe essere data a partire dalla velocità di 1.2 Mbps; attualmente il 12% delle utenze italiane non è dotato di connessioni superiori a 2 Mbps, una percentuale al di sopra della media europea, nonostante il nostro paese presenti una elevata densità abitativa che favorirebbe la realizzazione delle infrastrutture. Per avere a disposizione collegamenti veloci è necessario infatti disporre di mezzi trasmissivi con caratteristiche particolari dal punto di vista della banda disponibile: più questa è “larga”, maggiore risulta la quantità di dati che possono trasferirsi su di esso in un dato lasso di tempo. Il mezzo trasmissivo più comunemente usato fino ad un decennio fa era il doppino in rame che risulta adatto per le comunicazioni telefoniche, molto meno per il traffico della rete; l’alternativa più importante è la fibra ottica che presenta una banda molto più larga e permette dunque connessioni più veloci. Attualmente la grande maggioranza delle centrali telefoniche italiane sono connesse tra loro mediante fibra ottica: resta il problema del cosiddetto ultimo miglio, cioè dalla centrale all’utenza. I problemi sono dunque essenzialmente due: una percentuale non trascurabile delle centrali non sono collegate con la fibra (gli abitanti dei relativi centri, al momento, la “banda larga” possono solo sognarsela!); anche i centri in cui arriva la fibra ottica non hanno tutti le utenze coperte capillarmente dalla fibra stessa (questa è la situazione di gran parte delle città italiane, come Trani). La conseguenza è che alcune zone di queste città, magari le più lontane dalla centrale telefonica (vedi la zona meridionale di Trani), non possono avere una connessione adeguata alla rete. [1]
Le iniziative adottate dalla politica per incentivare la realizzazione di nuove infrastrutture appaiono però decisamente carenti: emblematico è il caso del cosiddetto “piano Romani”, proposto nel giugno 2009 dall’attuale Governo Berlusconi. Questo piano prevedeva la diffusione di una connessione a 20 Mbps per il 96% delle utenze; si erano previsti anche 800 milioni di euro. Peccato che l’assegnazione di questi fondi sia stata successivamente bloccata e rimandata a data da destinarsi: la banda larga non pare dunque essere considerata una priorità. [3] [2]
Oltre il doppino telefonico e la fibra ottica esiste un altro mezzo che può essere facilmente sfruttato per trasmettere i pacchetti di Internet: l’etere. Le possibilità wireless e, in particolare, la tecnologia WiFi rappresentano una soluzione sempre più diffusa; mentre da noi il WiFi ha trovato applicazione soprattutto nella creazione di reti domestiche, in molte città europee bar, ristoranti, boutique, giornalai, centri commerciali, etc. possiedono una rete locale a cui chiunque si trovi nei paraggi può accedere liberamente e gratuitamente, creando, in questo modo, una copertura capillare. In Italia questo non è possibile. Il motivo risiede nell’art. 7 del decreto Pisanuanti-terrorismo” del 2005; l’articolo prevede una montagna di burocrazia che ostacola il “WiFi libero” in tutti i modi: tutti gli Internet Point devono chiedere annualmente un’autorizzazione alla questura, richiedere a chiunque si connetta un documento di identità e memorizzare con un apposito costoso software tutti il traffico. [4] Eppure una settimana fa, il 5 novembre, il ministro dell’interno Maroni dichiarava “Dal primo gennaio 2011 ci si potrà collegare liberamente alla rete WiFi senza restrizioni”; in realtà la liberalizzazione annunciata dal ministro non è quella che ci si potrebbe attendere: sarà ancora obbligatorio tenere traccia di chi accede alla rete e l’unica cosa che non sarà più necessaria sarà la richiesta di autorizzazione in questura (questo è l’unico comma dell’articolo 7 che non verrà rinnovato: gli altri, se non saranno esplicitamente abrogati, resteranno in vigore). [5]
Passando dal contesto nazionale a quello locale, la situazione non pare migliore. A gennaio 2006, l’AMET di Trani annunciava il posizionamento di un anello di 4.5 km in fibra ottica attorno alla città, nell’ambito del progetto PugliaTech finanziato dalla Regione. Le applicazioni di questa infrastruttura potevano essere le più svariate: si poteva ad esempio migliorare la connessione ADSL della zona sud della città. Attualmente però, stando alle informazioni in nostro possesso, l’anello è utilizzato soltanto (inspiegabilmente, ci pare) per l’impianto di video-sorveglianza delle forze dell’ordine: considerando che su una fibra ottica può viaggiare tutto il traffico telefonico degli Stati Uniti nell’ora di maggiore congestione, appare praticamente assurdo che a Trani la si utilizzi solo per trasmettere le immagini di 21 telecamere! [6]
A proposito del problema dell’estensione della banda larga nella zona sud di Trani, il 20 febbraio 2010 il presidente AMET Lucio Gala dichiarava “Garantire la copertura Adsl veloce nel quartiere Pozzo Piano o, addirittura, estenderla all’intera città è un intervento che Amet è in grado di fare, ma visti i costi necessari avrebbe bisogno di una decisione politica che solo l’Ente proprietario (il Comune, ndr) può prendere”. E aggiungeva: “Del resto se neanche Telecom si decide ad intervenire con la copertura tradizionale dell’area, evidentemente ci sono problemi di economicità dell’intervento”. In pratica una parte della città dovrebbe rinunciare alla banda larga perché si tratterebbe di una soluzione costosa. Ma se questa è una considerazione legittima da parte di un’azienda privata come Telecom (i ricavi ottenuti dalle utenze ripianerebbero i costi di installazione in troppo tempo), può mai essere altrettanto valida per un’Amministrazione Comunale o un’Azienda Municipalizzata, che dovrebbe occuparsi di dare a tutti i cittadini le stesse possibilità e gli stessi diritti? [7] [8]
L’immobilismo in cui pare versare la città dal punto di vista della diffusione di Internet, sembra ancora più evidente se raffrontato alle iniziative in tale direzione che si prendono nelle città limitrofe. A Molfetta, il 16 febbraio 2010 l’assessorato ai Lavori Pubblici autorizzava i lavori per la posa e l'installazione di cavi in fibra ottica in diverse zone della città, in attuazione del "Programma per lo sviluppo della banda larga in fibra ottica nel Mezzogiorno" del Cipe. [9] Ad Andria, la settimana scorsa, si è avviato un “progetto volto alla navigazione gratuita su rete internet, mediante wireless e mobile, individuando prioritariamente alcune aree pubbliche e di aggregazione, che verranno conseguentemente attrezzati per questo servizio”. [10]
A Trani, invece, la tecnologia sembra arrivare in ritardo. D’altronde, come si è detto, anche il panorama italiano, dal punto di vista della diffusione del web (che tanti vantaggi porterebbe all’economia e alla cultura), sembra ancora immerso in un film in bianco e nero.
Insomma, laddove non esplicitamente osteggiata, la diffusione di internet e della banda larga non è in nessun modo incentivata. Forse perché i valori di cui (aldilà dei mille problemi) è portatrice la rete, ovvero il pluralismo dei contenuti (i più ottimisti parlano di “democrazia elettronica”) e la condivisione di informazioni ed esperienze appaiono decisamente in contrasto con le logiche di potere di chi gestisce la Cosa Pubblica e delle lobby che condizionano il mercato.

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