sabato 26 marzo 2011

C’ERA UNA VOLTA IBÌA, PROVINCIA DEL REGNO DI TALÌA

Guerre, agguati, complotti e rivolte per un pregiatissimo albero di olive nere
DALLA TALÌA E DAL MONDO – Riportiamo quanto leggiamo in un manoscritto antico, o forse nuovo, che racconta gli strani rapporti tra un regno lontano, o forse vicino, e una sua provincia periferica. Il regno, a quanto riusciamo ad interpretare dalla pergamena ingiallita, si chiama o si chiamava Talìa e la provincia, situata ai confini del territorio, Ibìa.
Il racconto inizia con la descrizione di una grande guerra che coinvolse tanti regni ed imperi, compreso anche il regno di Talìa, che ne uscì pesantemente sconfitto e impoverito: il pegno da pagare per la sconfitta nella guerra fu proprio la provincia di Ibìa che il regno di Talìa si vide costretto a cedere alla grande potenza vincitrice, il vastissimo impero di Mérica. Il regno di Talìa firmò un trattato di pace in cui rinunciava per sempre al dominio sulla sua ex provincia di Ibìa.
Nella provincia di Ibìa si instaurò un piccolo regno compiacente all’impero: passarono alcuni anni e nel territorio della provincia un contadino scoprì uno strano seme dal quale nacque un enorme albero di grandi olive, nere come la pece, che, una volta spremute, producevano un olio tutto particolare dalle proprietà straordinarie. Subito l’olio nero di Ibìa attrasse l’interesse del mondo intero ma, per quanto esperti botanici si sforzassero di trapiantarlo, pareva che il seme miracoloso attecchisse solo sul terreno di quell’antica provincia del regno di Talìa. Non potete immaginare l’invidia dei ricchi abitanti di Talìa che avevano abitato in passato quella remota provincia calpestando un terreno di cui ignoravano completamente le enormi potenzialità.
E fu così che, grazie solo alle loro intense ed incessanti preghiere, si trovò il modo per far tornare la provincia di Ibìa sotto il controllo del regno di Talìa. Un giovane del luogo, l’astuto Gianmario, stufo del dominio straniero sulla regione, si mise a capo di un movimento di insorti che in pochi giorni destituì il farlocco che regnava per conto della grande Mèrica e si mise a capo di un nuovo governo di Ibìa. Il nuovo leader decise di ristabilire i legami di sudditanza con il vecchio regno lasciando però invariate le forme: in altre parole Talìa e Ibìa restarono regni separati ma, in sostanza, trattavano tra loro come fossero connazionali. Fu così che il prezioso olio varcò il confine per prendere il posto sulle tavole imbandite dei più ricchi mercanti di Talìa: in cambio nelle case di Gianmario presero posto tanti bei lingotti d’oro luccicanti.
Ovviamente il potente impero di Mèrica non poteva che essere molto scontento della nuova situazione creatasi, soprattutto perché in questo modo perdeva ogni possibilità di condire i propri cibi con quel delizioso olio di Ibìa. Così negli anni successivi l’esercito di Mèrica cercò di colpire Gianmario in gran segreto e di far fuori il suo governo. Ma le cose non andarono come Mèrica desiderava: alcuni soldati di Talìa infatti casualmente origliarono i soldati di Mèrica parlare del complotto e informarono subito il proprio sovrano a riguardo. Questi fu enormemente allarmato e, temendo di dover rinunciare alle olive, prontamente allertò Gianmario che si mise in guardia e scampò all’agguato.  
Nel frattempo gli abitanti di Ibìa cominciarono a capire che Gianmario, ormai fattosi anzianotto, li stava raggirando da anni: le grandi olive nere, infatti, sembravano letteralmente scomparire sotto il loro stesso naso, senza che i contadini di Ibìa potessero trarne il giusto profitto. La popolazione dell’antica provincia andava sempre più impoverendosi e contemporaneamente andava acquisendo consapevolezza che la colpa della loro indigenza fosse del ricco e astuto Gianmario, che aveva tenuto per sé tutti i proventi della vendite delle olive e dell’olio nero. Fu così che alcuni giovani abitanti di Ibìa decisero di dar luogo ad una rivolta, come quella che tanti anni prima aveva dato il potere a Gianmario. Proprio come in quel caso, anche questa volta gli eventi furono, in qualche modo, fatti precipitare da intense e incessanti preghiere, questa volta dei ricchi mercanti di Mèrica, golosissimi di olive nere.
Dopo tante primavere il vecchio Gianmario sembrava ormai destinato a perdere il dominio sulla provincia di Ibìa: allora andò su tutte le furie e, come uno scellerato, diede ordine ai suoi uomini di ammazzare tutti coloro che osassero esprimere dissenso verso il suo operato. Fu una strage: bambini, vecchi, uomini, donne anche solo sospettati di pensarla diversamente da Gianmario furono strangolati nel sonno. Fu una drammatica strage. Ma fu anche ciò che l’impero di Mèrica aspettava per avere il pretesto di attaccare apertamente Gianmario ed invadere Ibìa, per difendere i rivoltosi ingiustamente trucidati, ma soprattutto per riprendere il controllo di quel terreno miracoloso. E il regno di Talìa che cosa fece? E che poteva fare? In fondo quella strage era anche un po’ colpa dei mercanti di Talìa che avevano trattato con il connazionale Gianmario, pur sapendo che questi avrebbe tenuto per sé tutti i lingotti, avaro com’era. Che fare dunque? Mettersi contro il potente impero di Mèrica pareva improponibile. La posizione di Gianmario però era indifendibile. Bisognava rinunciare di nuovo, e forse per sempre, a quell’antica provincia e al suo prezioso olio?
Qui il manoscritto si interrompe, lasciando alla fantasia del lettore ipotetiche conclusioni.

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