domenica 10 aprile 2011

STRAGE DI MIGRANTI: LE RESPONSABILITA’ DELL’ITALIA

Tutti i contorni di un problema sociale, in un Paese che sta perdendo la giusta rotta

DALL’ITALIA E DAL MONDO - Gli sbarchi di disperati provenienti dal nord Africa continuano (se n’è già parlato in post precedente) e, mentre i nostri politici continuano a fare la spola tra Tunisia e Italia per siglare accordi su rimpatri e respingimenti, nel mar Mediterraneo si muore. Infatti, nella notte del 6 aprile scorso, si è verificata una strage immane, di cui però solo in pochi hanno parlato. Un barcone con circa 300 persone tra eritrei e somali, partito dalla città libica di Zuwarah, si è ribaltato mentre veniva soccorso da alcune motovedette della Guardia Costiera tra Malta e Lampedusa. Le precarissime condizioni dell’imbarcazione e il mare grosso hanno provocato l’affondamento. Terribili sono le testimonianze della cinquantina di profughi recuperati e portati in salvo o quelle dei soccorritori, i quali parlano di “uomini, donne e bambini che cadevano dalla barca, giù come piombo”. Ognuno dei ragazzi sopravvissuti ha perso un amico o un parente. [1]
Una tragedia assurda, ma prevedibile, difficilmente imputabile al Fato. Il nostro Paese non è per niente esente da colpe, visto che sono note le difficili condizioni in cui arrivano i migranti e che, dall’inizio della crisi nord africana, nulla è stato fatto per garantire la sicurezza di questa gente durante la traversata. L’Italia è il Paese europeo più vicino al continente africano e dovrebbe essere il primo ad intervenire, cercando di garantire almeno l’arrivo dei barconi avvistati nel Canale di Sicilia, senza che questo diventi un cimitero. Invece, Berlusconi & co. si limitano a pronunciare discorsi demagogici, promesse mai mantenute, premi nobel, casinò, ville o siglare accordi che prevedano criminali respingimenti, come quelli che avvenivano in Libia e che ancora avvengono, e rimpatri alla bella e buona. Ma, come sostiene Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’ARCI, “La totale chiusura delle frontiere non serve a bloccare i flussi, al contrario costringe i migranti a viaggi disperati e pericolosi.” [2]
Le responsabilità del nostro Governo non si fermano solo a questo caso particolare, ma affondano le proprie radici nella continua tendenza a criminalizzare gli immigrati. Dai banchi della Lega Nord, e non solo, sono frequenti frasi del tipo “al nord non li vogliamo”, “questi puzzano”, “tanto disperati non sono, visto che indossano abiti firmati”, frasi indegne, che forse neanche gli animali pronuncerebbero se potessero parlare. Purtroppo queste attecchiscono velocemente e si riflettono sugli atteggiamenti della gente comune, convinta ancora che la crisi economica e la delinquenza siano dovuti al grande flusso di migranti, non capendo come questi, al contrario, possano rivelarsi una risorsa imprescindibile. Purtroppo stiamo assistendo ad un vero e proprio problema sociale. Il razzismo, il rifiuto del “diverso” è ancora radicato nel nostro Paese e i nostri politici non fanno nulla per far si che l’Italia esca da questo tunnel che per anni ha impedito l’integrazione dei vari popoli che sono transitati nel nostro Paese. Integrazione, che in altre Nazioni, ha agevolato lo sviluppo economico e del sistema produttivo. L’unico risultato che abbiamo raggiunto in Italia è l’alto numero di extra-comunitari impiegati nei campi o nei cantieri, sottopagati e sfruttati, o assoldati dai gruppi criminali, pur di ricevere qualche euro in più.
Eppure l’Italia di occasioni per cercare di cambiare questa tendenza ne ha avute, ma i partiti politici hanno sempre pensato (e lo fanno ancora attualmente) a non scontentare l’elettorato, a  non perdere la faccia, in un continuo scambio “tu mi dai il voto, io ti caccio gli immigrati”. Insomma, molti ancora non hanno ben presente che trattasi di persone come noi, uomini e donne, magari con studi e specializzazioni alle spalle, che fuggono da persecuzioni e guerre, sperando in un futuro migliore. Non è possibile che si possa trascurare un evento simile, sentirlo lontano dalla nostra realtà.
A tutto questo contribuiscono anche i media. Pochissimi sono i riferimenti a quest’ultima strage. Nei tg, ovviamente, se n’è parlato pochissimo, ma anche su internet le uniche tracce provengono da blog o quotidiani on-line locali. Basta fare una ricerca, difficilmente si trovano link a giornali o notiziari più comuni, anche quelli più vicini alla sinistra. Il problema è sempre quello: è un argomento scomodo, di cui non conviene parlare. Il che è ancora più grave delle frasi leghiste. Accettare questo stato di cose significa tenere lontana la gente da un tema che invece è molto più vicino di quanto si creda. Ne abbiamo già parlato nel post precedente, il timore è che si voglia far scoppiare una guerra tra poveri, perché non ci sono dubbi che sono le classi più povere a sentire di più l’impatto dell’immigrazione. Si dovrebbe cercare di inculcare l’idea  che questo impatto non sia necessariamente negativo, ma che, al contrario, possa rivelarsi una grande opportunità. Ma come si fa a realizzare ciò se i media, soprattutto le tv e i giornali, appartengono o sono molto vicine alle stesse persone che l’immigrazione la criminalizzano? Basta ricordare come per la tragedia de L’Aquila si sono susseguiti per mesi e mesi trasmissioni televisive e speciali ad hoc, magari enfatizzando la presunta ricostruzione messa in atto dal Governo. Certo anche questa è stato un duro colpo per il nostro Paese ed è legittimo che se ne debba parlare, ma il numero di morti è stato molto simile a quello della strage di qualche giorno fa. Non si vuole qui strumentalizzare due eventi drammatici, ma invitare il lettore a fare delle considerazioni sul ruolo dei media in Italia.
Per fortuna, nonostante tutto questo, in Italia ci sono ancora tanti giovani volontari che accolgono, assistono e aiutano gli immigrati. Non solo coloro che operano nei campi di accoglienza, ma anche semplici cittadini delle città in cui sorgono questi campi e dei paesi vicini. Dai loro piccoli gesti si scorge ancora la speranza che l’Italia cambi rotta, si evolva, si rimetta al passo dei Paesi più culturalmente e socialmente evoluti, e ce ne sono parecchi nel mondo. Sono questi ragazzi che meritano uno spazio molto più ampio rispetto a quello riservato a politici e parlamentari che stanno lì a sbraitare come cani, a pensare al proprio orticello.
Intanto a breve termine, si auspica che il nostro Governo intervenga concretamente, magari, come propone Antonio Russo dell’ACLI, organizzando “nelle acque del Mediterraneo un presidio navale a scopi umanitari ed aprire una zona di protezione e di garanzia del diritto internazionale”[2]. Non è più tempo dei “Fora di ball”, è tempo che Italia e UE insieme collaborino per far si che il Mediterraneo, nodo fondamentale dei traffici del nostro continente, diventi un corridoio umanitario che garantisca sicurezza e accoglienza ai profughi e non un cimitero per disperati.


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