domenica 17 aprile 2011

SILVIO E BETTINO: AMICI PER SEMPRE

Berlusconi e Craxi. Berlusconi è Craxi.
DALL’ITALIA – Al termine della settimana in cui la Camera dei Deputati ha approvato il cosiddetto “processo breve”, anche detto “prescrizione breve” o “processo morto”, che accorcerà i tempi di prescrizione in molti procedimenti, in particolare in quelli di un certo Silvio, è arrivata la puntuale aggressione dello stesso Silvio, di cui sopra, alla magistratura. Il 16 aprile, infatti, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dichiarato:  "Molti magistrati seguono la sinistra e hanno un progetto eversivo, così come l'hanno fatto nel '93 facendo fuori i socialisti, la Democrazia Cristiana, i repubblicani e hanno fatto fuori un leader politico come Bettino Craxi, stanno oggi cercando di farlo con Berlusconi". [1] Poi, in riferimento alla fine del suo primo governo nel '94: "Fu un'operazione attuata dai magistrati di sinistra che lanciarono false accuse contro di me e contro l'esecutivo". E’ vero, non è la prima volta che il premier getta fango sulla magistratura e forse siamo assuefatti un po’ tutti alle sue dichiarazioni, sempre meno rispettose del democratico equilibrio tra poteri.
Questa volta, però, forse vale la pena analizzare con più attenzione le pesanti accuse rivolte all’istituzione giudiziaria da parte di Berlusconi, poiché rivelano un parallelismo tra la sua politica e quella dei suoi predecessori della cosiddetta Prima Repubblica, la cui ammissione da parte del premier è tutt’altro che scontata.
Le dichiarazioni degli ultimi mesi di Berlusconi inquadrano in modo esplicito il Cavaliere come erede di Craxi e di un sistema politico, quello della Democrazia Cristiana, che, salvo le due piccole parentesi del governo Prodi, ha governato l’Italia con continuità per oltre sessant’anni. Più a lungo del governo di Gheddafi in Libia. Un Paese in cui il potere si incancrenisce nelle mani di una parte politica così a lungo può ritenersi democratico?
Un altro aspetto interessante delle dichiarazioni di Berlusconi riguarda il suo rapporto conflittuale con Mani Pulite, l’insieme di indagini e procedimenti che consentirono di smascherare Tangentopoli, il sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti che ha attanagliato la Prima Repubblica. [2] Il 10 marzo, a proposito della cosiddetta Riforma della Giustizia (o dell’ingiustizia?), il premier ha dichiarato che se fosse stata introdotta 20 anni fa non avrebbe mai reso possibile il verificarsi dei fatti di Mani Pulite: “Avrebbe evitato l’esondazione, l’invasione della magistratura nella politica e quelle situazioni che hanno portato nel corso della storia degli ultimi venti anni a  cambiamenti di governo, ad un annullamento della classe dirigente nel ’93″. [3]
Se rapportiamo queste dichiarazioni a quelle rese recentemente dal premier, come quelle del 16 aprile, in cui si accusano le “toghe politicizzate” di essere "in campo per cambiare il voto degli italiani" e "questo, in termini crudi, si chiama eversione" (si chiede addirittura una commissione di inchiesta "per accertare se c'è una associazione a delinquere a fini eversivi nella magistratura"), la condanna di Mani Pulite e la solidarietà espressa ai colpevoli (ladri, concussori e corruttori) di Tangentopoli appaiono perfettamente coerenti. [4]

Ma se confrontiamo queste recenti dichiarazioni con quelle rese da Berlusconi nell’ormai lontano 1994, quando annunciò la sua “discesa in campo”, appare un’evidente incoerenza. Dal Corriere della Sera del 23 febbraio 1994, leggiamo che in un interevento al Maurizio Costanzo Show,  sollecitato dai giornalisti che gli chiedono se il giudice Di Pietro potrebbe essere un buon ministro della giustizia Berlusconi risponde: "Perchè no?". [5] Dal Corriere della Sera dell’8 maggio 1994 invece leggiamo che Antonio Di Pietro, che allora era “il giudice più amato dagli italiani”, rifiutò seccamente il ruolo di ministro degli Interni offertogli in un incontro con Berlusconi nello studio dell'avvocato Previti, nonostante “due ore di appelli, di lusinghe”. [6] Tali offerte allora non furono per nulla motivo di scandalo poiché perfettamente coerenti con le dichiarazioni del Cavaliere che, in quel periodo, cercò (con successo) di cavalcare l’onda emotiva dei cittadini in contrasto con le ruberie della vecchia classe dirigente. Come ha scritto Pino Corrias su ”Il fatto quotidiano”, “se non ci fosse stata Mani Pulite probabilmente non ci sarebbe neppure stata la sua epocale, ma anche tragica avventura (per lui e per noi)”. [7] In altre parole, Berlusconi si avvantaggiò enormemente di Tangentopoli per proporre, in alternativa al vecchio sistema, un modello politico nuovo.
Che poi “nuovo” non era per niente. E di ciò ci si poteva rendere conto anche allora, considerando, se non altro gli stretti rapporti che legavano il futuro premier, Silvio Berlusconi, al vecchio Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, noto latitante, pluricondannato per reati concernenti la corruzione ed il finanziamento illecito al PSI. [8] Nel 1984, attraverso tre decreti, il Decreto Berlusconi, il Decreto Berlusconi bis e Decreto Berlusconi Ter, il Governo Craxi permise che le tre TV private del gruppo Fininvest trasmettessero su tutto il territorio nazionale (cosa fino ad allora non consentita). [9] Insomma il grande successo di Fininvest (oggi Mediaset), è da imputare a tre decreti ad personam, per così dire ante litteram: che pare di stare a leggere Cicerone, ed invece, ahimè, stiamo sempre parlando di Silvio e dei suoi affari!
E d’altronde, sempre per evidenziare i rapporti tra Berlusconi e Craxi, come non ricordare che Berlusconi fu condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione, in primo grado, per le tangenti (22 miliardi di lire secondo l’accusa, di cui 10 miliardi accertati) versate al Psi dell’amico Bettino fino al 1992. E’ il cosiddetto processo “All Iberian 1”. In Cassazione, si decise per il proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato. [10]
A proposito di Berlusconi e di Mani Pulite, va anche detto che le ultime indagini del pool milanese furono proprio quelle su Silvio e Paolo Berlusconi e sull’azienda di famiglia. A tal proposito non serve aggiungere commenti alle dichiarazioni di Fedele Confalonieri, che da sempre ruoli di responsabilità nelle aziende di Berlusconi (oggi è presidente Mediaset): Senza la politica saremmo finiti sotto a un ponte o in galera con l’accusa di mafia”. [7]
Insomma, con le ultime dichiarazioni, Berlusconi getta definitivamente la maschera, per sottolineare la sua sostanziale continuità con il sistema di Tangentopoli e con Bettino Craxi. Si riconosce esplicitamente che il suo avvento era solo in apparente rottura con la vecchia classe dirigente, mentre in realtà si trattava dell’ennesima “operazione Gattopardo”, tipica della politica italiana degli ultimi 60 anni (e forse più): “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Quale sarà la prossima?

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